Contestualizzare o relativizzare?

Durante la manifestazione di Non una di meno dello scorso 8 marzo, la statua dedicata a Indro Montanelli presso i giardini di Porta Venezia a Milano è stata imbrattata con della vernice rosa (lavabile). Dietro tale gesto simbolico vi è la volontà di denunciare, o quanto meno di trarre fuori dall’oblio, la memoria di una vicenda che vede protagonista Indro Montanelli nella sua veste di giovane sottotenente.

Durante l’occupazione italiana dell’Etiopia, infatti, Indro Montanelli comprò una bambina di soli 12 anni che divenne la sua “sposa” (Destà, originaria di Segheneiti, in Eritrea): Montanelli confessò, anni dopo, di fronte alle telecamere di Gianni Bisiach ed Enzo Biagi, di aver consumato dei rapporti sessuali con la sua “consorte”, definita anche un “animaletto”.

Lo sfregio alla statua di Montanelli ha riattivato un dibattito sul colonialismo italiano in Africa che ciclicamente si accende, con toni sempre molto vivaci e polemici; l’estrema polarizzazione della discussione avviata ha penalizzato ogni riflessione pacata e serena. I difensori di Montanelli hanno evidenziato come la vicenda che lo vede protagonista meriti di essere contestualizzata, compresa nelle sue sfumature: e dunque ci si appella alla differenza culturale delle popolazioni eritree (secondo Montanelli la bambina fu acquistata seguendo la pratica del damoz, una sorta di matrimonio a tempo), o finanche alla loro differenza antropologica («a dodici anni quelle là sono donne»). In base a questa prospettiva è dunque il contesto che giustifica il gesto (osceno) di Montanelli: l’ambiente “selvaggio”, privo di moralità, della colonia permette un tale rilassamento dei costumi ed un abbassamento della morale che perfino comprare e violentare una bambina risulta lecito. Ma qui Montanelli relativizza, non contestualizza. L’imperativo morale di non esercitare violenza sui minori conosce variazioni a seconda del parallelo geografico in cui ci si trova? Questo è il sunto delle parole di Montanelli, ed è questo che gli viene contestato.

Montanelli giustifica le sue debolezze di uomo e l’incertezza della sua etica addossandone la colpa agli altri, gli africani. Pur senza negare i suoi meriti giornalistici, non bisogna cadere nella trappola del relativismo. Ma vi è anche un’altra trappola che il brillante scrittore toscano ci tende: in fondo, ci dice, strizzandoci l’occhio, facevano tutti così. Il madamato era una consuetudine diffusa nelle colonie del Corno d’Africa, così come svariate forme di concubinaggio. D’altro canto anche lo stupro, la violenza, e la prevaricazione sessuale (verso maschi e femmine) erano fenomeni diffusi e tollerati dalle autorità in colonia (non certo dai sudditi coloniali che le subivano). E qua il ragionamento del giornalista di Fucecchio incontra l’argine della realtà.

Non è vero che facevano tutti così

Non è vero che facevano tutti così. Forse parecchi, ma non tutti. Il così fan tutt(i) di Montanelli lo aiuta a deresponsabilizzarsi, a condividere (o forse a gettare) il fardello della sua colpa con altri (il padre di Destà che l’ha venduta, le tradizioni locali, i suoi commilitoni che praticavano la pedofilia quanto lui), ma non è vero. È falso che tutti gli italiani in colonia violentassero delle bambine: era una pratica esercitata solo da una parte dei soldati e civili italiani nel Corno d’Africa, e Montanelli faceva parte di quella schiera.

Simona Berhe, storica, Università degli studi di Milano

Altre risorse per approfondire:

Giulietta Stefani. Colonia per maschi. Italiani in Africa Orientale: una storia di genere

 In Colonia per maschi (Ombre Corte, 2007) Giulietta Stefani ricostruisce la storia, decisamente poco conosciuta, dei tanti italiani che hanno combattuto, vissuto e lavorato nelle colonie italiane, con particolare attenzione alla campagna in Etiopia del 1935-1936 e alla successiva fondazione dell’Africa Orientale Italiana.Recensione


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