La condizione in cui veniva a trovarsi il personale femminile di servizio per le mutate abitudini e pel crescente sviluppo di una città come Milano preoccupava già da tempo l’Unione Femminile. Nello svolgersi quotidiano della sua molteplice attività essa si era spesso incontrata in casi pietosi che rivelavano l’ignoranza e l’abbandono in cui era lasciata questa classe, vittima ancora di pregiudizi dovuti all’antico stato di schiavitù e di servaggio, priva di ogni forma anche rudimentale d’organizzazione e di ogni mezzo per elevare il proprio livello professionale e morale; esposta, per trovar lavoro, allo sfruttamento e alle insidie di agenzie senza scrupoli.
Lo scrive l’Unione Femminile nel dare conto dei primi mesi di attività dell’Ufficio di collocamento per il personale femminile di servizio, rivolto a “cuoche, domestiche, bonnes, cameriere, personale d’albergo e istituti” e aperto in collaborazione con la Società Umanitaria.
Nell’opuscolo si descrive come fu attivato il servizio, come fu organizzato e pubblicizzato, quante domande e come furono evase, le difficoltà e le lacune. Non manca l’analisi delle pessime condizioni di lavoro nel settore e le responsabilità da entrambe le parti
Da una parte (del personale) l’incoscienza e l’ignoranza più assolute, l’imprevidenza, la leggerezza, l’instabilità, la mancanza di senso del dovere e, nello stesso tempo, l’incapacità a far valere il proprio diritto, la deficienza – quasi sempre assoluta – di preparazione e routine professionale.
Dall’altra (quella dei padroni), un’incoscienza non meno grande e certo meno scusabile dei propri più elementari obblighi di umanità, di rispetto, di riguardi igienici e morali verso la persona spesso giovane e inesperta che prendono in casa; esigenze non proporzionate alla capacità fisica, alla possibilità di tempo, allo stipendio assegnato; tendenza da una parte e dall’altra a ingannarsi a vicenda chiedendo il più che si può e dando il meno possibile.