Ci sono molti modi di salutare prima di andare via. Tilde Capomazza lo ha fatto lasciandoci un libro, il racconto della sua storia. In Tivvù passione mia, Harpo 2016, narra le vicende di una ragazza del sud che rimane abbacinata dalle primissime trasmissioni televisive, quando i programmi iniziavano solo a una certa ora della giornata e in pochi potevano permettersi quell’elettrodomestico in casa.

La passione televisiva di Tilde Capomazza

L’ideatrice della prima televisione fatta dalle donne per le donne racconta il suo percorso

di Roberta Yasmine Catalano

Nel palazzo di Tilde, il medico di famiglia apre le porte della sua abitazione il giovedì sera ai condomini per permettere loro di godere di quell’epifania concessa dalla scatola magica. E se una sera, per impegni improvvisi, la porta del dottore resta chiusa, c’è il vuoto dentro e la sensazione di aver perso qualcosa. Poi finalmente la mamma di Tilde cede alle rate e acquista un televisore e la figlia ne divora ogni trasmissione: dalle notizie al varietà, dalla pubblicità ai documentari. È il 1954. Tilde ha 23 anni, una smisurata curiosità, un bagaglio enorme di idee e tanta, tantissima voglia di fare. È una ragazza attivissima, brillante negli studi e presente in ogni iniziativa delle associazioni cattoliche in cui si muove agevolmente, tra eventi e riviste locali, teatro parrocchiale e manifestazioni culturali universitarie. Ma il suo sogno più forte è di lavorare per la televisione, ideare programmi, in particolare coniugare l’intrattenimento con la cultura. Le sue idee le lievitano dentro, ma per una ragazza – benché intelligente – di Pozzuoli degli anni Cinquanta, è davvero arduo arrivarci.

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