Storia di Marta, bimba di sette anni che l’improvvisa morte della mamma chiude in un impenetrabile silenzio. Storia di Emma, psicologa, che cela – dietro l’ordine apparente di una vita professionale e sentimentale appagante – il dramma mai superato della persecuzione nazista e il senso di colpa per essere sopravvissuta.

Solo l’incontro con Marta e il tentativo di abbattere il muro di angoscioso mutismo della bambina consentiranno ad Emma di percorrere un analogo cammino dentro di sè, alle radici del proprio personale dolore.

Un libro delicato e complesso, ricco di sfumature, in cui s’intreccia – oltre alle storie di Marta, di Emma e di Giuliana – quella altrettanto toccante di Aldo, che scopre solo con la perdita della figlia di essere nonno. Anche per lui l’avvicinamento a Marta, in punta di piedi, significherà fare pace con il ricordo di Bruna, l’unica figlia amata e mai compresa.

Sullo sfondo, descritta in capitoli intensi e suggestivi, la lunga fuga di Emma e dei compagni attraverso i monti, alla ricerca di un rifugio sicuro da cui continuare la guerra partigiana. Fino al rastrellamento nella baita del parroco di un piccolo paese, il vecchio rudere che Emma insisterà un giorno per acquistare.

La trama

Milano, 1982. Aldo Fantini è da poco andato in pensione e si gode i primi momenti di una vita tranquilla, quando una terribile notizia manda all’aria la sua quieta routine: Bruna, la figlia difficile che da dieci anni non dà notizie di sè dopo la morte della madre, è a sua volta perita in un incidente.

Allo shock per la perdita dell’unica figlia si aggiunge lo stupore di sapere che Bruna ha lasciato una piccola di nome Marta, di appena sette anni, di cui Aldo ignorava l’esistenza.

Senza un padre, traumatizzata dalla morte della mamma, suo unico punto di riferimento, Marta è presa in carico dalle autorità competenti, data in affido ad una chiassosa e vivace famiglia milanese e seguita dalla dottoressa Emma Donati.

In qualità di psicologa Emma dovrà tentare di aprire una breccia nel cuore di Marta per aiutarla a superare il dolore: la bambina infatti non parla, sospesa in un mondo tutto suo, dove il ricordo della mamma e degli amici di Framura, dove aveva vissuto un periodo di gioiosa felicità, è accompagnato da pensieri dolorosi e dall’incapacità di accettare la scomparsa della madre.

La mamma tornerà, pensa Marta, non può essere quel volto di cera che ha visto nella bara. Tornerà e le perdonerà quella marachella, l’aver rovinato il rullino nella macchina fotografica dell’ultimo compagno violento di Bruna. La mamma era arrabbiata con lei, era uscita sconvolta per inseguire il compagno furibondo. Poi non era più tornata.

Emma, a sua volta, nasconde un’esistenza di dolore e un’incapacità di esprimere i sentimenti e di fare i conti finalmente col suo passato. Ne fa le spese Filippo, il compagno, costretto ad accettare le sue periodiche fughe solitarie e l’incomunicabilità fra loro, appena celata dietro una vita in apparenza normale e appagante.

Brillante studentessa di medicina a Torino, a un passo dalla laurea, Emma ha vissuto infatti il periodo della guerra partigiana e la lunga fuga al seguito dell’amica Giuliana, di Giacomo e Orso su per le montagne della Valle d’Aosta, fra rastrellamenti, angosce e paure.

E’ Giuliana, appartenente ad una famiglia ebraica, vivace, forte e determinata ben più di lei, a trascinarla:

«Perciò è deciso. Io parto … Lo capisci anche tu che qui finisce che precipita tutto. … L’attesa non è per me. A partire con questi in montagna, almeno mi pare di fare qualcosa.» – le aveva detto l’amica un giorno, in una caffetteria sotto i portici a Torino, dove la vita di Emma si era svolta fino ad allora in una tranquillità fittizia, fragile quanto rassicurante.

«Quella era la sua vita. Credeva che sarebbe potuta durare per sempre. Invece ha seguito Giuliana, preso la via dei monti, chiuso con l’antifascismo da ragazzini fatto di piccole ribellioni: parteggiare per gli alleati, esultare per le sirene dell’allarme aereo correndo in cerca di un rifugio o addirittura camminando naso in su, trionfalmente e senza fretta. A cosa serviva giocare così? … Anche stare a guardare è fascismo, aveva detto Giuliana.»

Era partita anche Emma. Senza convinzione, senza sapere bene perché. Vacillando ogni tanto, per le difficoltà, la paura, le notizie tragiche che li inseguivano nei rifugi di fortuna. Finché il rastrellamento era toccato anche a loro nel febbraio del 1944.

A quel punto i ruoli si erano ribaltati, senza che Emma se ne potesse capacitare: Giuliana era diventata improvvisamente fragile, toccava a lei ora guidare, spronarla. Erano stati giorni angosciosi, ma era solo l’inizio della tragedia che le attendeva.

Avevano saputo che ai militanti antifascisti sarebbe toccata quasi certamente la fucilazione sul posto. Agli ebrei veniva riservato un trattamento diverso: la partenza per uno dei campi di concentramento italiani. Così si diceva. Emma aveva scelto d’inventarsi una discendenza ebraica che non aveva. Si era garantita per il momento la vita con l’amica Giuliana, senza sapere che la bugia sarebbe stata il lasciapassare per l’inferno: Auschwitz.

Da lì solo Emma era tornata.

Poi era stato un lungo calvario per rimettere insieme i cocci della sua vita, nascondendoli sotto una coltre impenetrabile d’indifferenza e negazione. Si era trasferita da Torino a Milano, aveva ripreso gli studi – questa volta in psicologia -, aveva incontrato Filippo. E si era creata un’esistenza di donna normale, stimata professionista, che sapeva aiutare gli altri ma non se stessa.

Unica spia del suo malessere, l’aver insistito per acquistare e restaurare un vecchio rudere di montagna, dove si rifugiava spesso da sola, e le sue fughe solitarie in posti lontani. Senza un perché dichiarato.

L’incontro con la bambina fragile, Marta, che usa come corazza il silenzio per non soccombere al dolore, la costringerà a rimettere in discussione se stessa e a lasciare emergere quel dolore profondo che originava dalla tragica vicenda dell’amica Giuliana.

Solo aiutando Marta a trovare la via per accettare la morte della mamma, Emma riuscirà infatti a percorrere a sua volta la via per accogliere il proprio passato e a perdonarsi di essere sopravvissuta allo sterminio. Lei, che aveva aiutato di nascosto nel campo di concentramento Giuliana ad avere quel bimbo che portava in grembo. Lei che – scoperta a sua volta – aveva negato di conoscere l’amica pur di salvarsi.

«Io ho risposto di no. Senza un cenno, una lacrima. Ho detto che non eravamo nemmeno amiche. Nemmeno amiche. Per questo era sopravvissuta. E sopravvivere era diventata una colpa.»

Ermis Gamba

Marta nella corrente. Romanzo

di Elena Rausa,
ed. Neri Pozza, 2014

269 p.; 16,50€