La morte nel discorso televisivo, il concetto di comunicazione come bene comune, le sfide educative che investono genitori, insegnanti, educatori: l’autore prende spunto dall’analisi di questi casi per analizzare alcuni aspetti dell’ambiente comunicativo in cui viviamo.
Le tecnologie di comunicazione strutturano infatti un ambiente socio-culturale frutto di un processo che prende avvio almeno due secoli fa, con l’invenzione del telegrafo. Un ambiente di cui comprendere i fenomeni, consapevoli che non possiamo determinarli pienamente secondo la nostra volontà: da qui la necessità e insieme la diffocoltà del discernimento.
Non è solo questione di mezzi, ma di senso:
Se la cultura è una forma di adattamento al mondo, di addomesticamento del mondo (un modo di abitare il mondo), possiamo dire, allora, che la nostra cultura mediale è la forma con cui oggi cerchiamo di addomesticare e abitare un mondo sempre più complesso.
La sfida è particolarmente rilevante per chi ha ruoli ed obiettivi educativi. Nella pluralità di punti di vista offerti dall’ambiente mediatico, la costruzione della propria identità da parte di una persona giovane che si sta formando avviene in modi diversi da quelli conosciuti.
Guardare con sospetto all’ambiente mediatico non aiuta ad aiutare ragazzi e ragazze a crescervi dentro. Inoltre, giovani e adulti vivono dentro allo stesso ambiente e ne sono trasformati, dunque sperimentano contraddizioni simili. Sono, anzi, proprio le persone fra i 35 e i 54 anni a passare la maggior parte del tempo in internet.
Perché le persone più giovani possano crescere con vecchi e nuovi media senza farsi male è necessario, dice l’autore, fare un oggettivo bilancio delle competenze. E quelle adatte a muoversi nell’ambiente interattivo sono di tipo relazionale, non tecnico. Proprio quelle, aggiungiamo noi, che la scuola non fornisce.
La responsabilità difficile. Media e discernimento
Piermarco Aroldi
Rubbettino, 2012
165 p., 12 €