Con l’Italia in guerra, i prezzi di combustibili e generi alimentari sono alle stelle, mentre molte donne sono occupate fuori casa. L’Unione femminile è tra gli enti coinvolti dal Comune di Milano per realizzare cucine che preparino e distribuiscano alimenti a prezzo popolare. Si tratta di una cordata tra industriali ed imprese sociali di primo Novecento: dalla Lega delle Cooperative all’Umanitaria, dall’Unione femminile alla Camera del Lavoro, dalla Breda alle Rubinetterie riunite di Federico Jarach, con primo firmatario il sindaco socialista Emilio Caldara. Una circolare a stampa del 1917 conservata nell’archivio storico dell’Unione femminile nazionale riferisce che:
“Il rincaro crescente dei prezzi dei generi alimentari e del combustibile, e la occupazione professionale nelle industrie alle quali sono adibite molte donne fin qui casalinghe, mostrano la necessità di provvedere all’allestimento di speciali cucine dove i cibi siano cotti in tutto o in parte, venduti al prezzo minimo, e asportati per consumarli in famiglia, e ristoranti dove le vivande possano essere consumate in luogo, sopprimendo affatto le spese di servizio. La guerra ha già provocato il sorgere di siffatti organismi e servizi in diversi paesi.” (Archivio UFN, b 11, fasc. 17)
L’impresa parte sulla spinta di motivazioni contingenti, ma con l’ambizione di sopravvivere in futuro. E sarà così. I ristoranti ABC attraverseranno infatti gli anni Venti e Trenta, se pure ridimensionati in numero lavoreranno durante la seconda guerra mondiale, accompagneranno la fioritura di Milano nel secondo dopoguerra. Vi fa cenno anche la mostra in corso in questi giorni alla Biblioteca comunale di via Valvassori Peroni e dedicata alla politica annonaria del Comune di Milano durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra.
La storia della Cooperativa ABC e dei suoi ristoranti si lega dunque strettamente a quella dell’Unione femminile nazionale fino a quando la cooperativa viene sciolta, nei primi anni Settanta.
E’ una vicenda molto interessante sotto il profilo dell’imprenditorialità sociale oltre che sotto quello dei costumi alimentari.
Se andiamo a curiosare nel menù, scopriamo che la lista del 17 maggio 1926 prevedeva, tra i primi, “minestrone di pasta” e “crema georgette”. Tra i secondi: “stracotto di bue al chianti”, “cotechino di Cremona guarnito”, “fritto vegetariano crocchette”, “majonese di pesce” e uova sode in insalata.
Ma se andiamo a curiosare tra i verbali e i libri contabili, scopriamo qualcosa di più: un’antesignana impresa no-profit. Un’impresa, infatti, che deve sostenersi dal punto di vista economico, mentre intende offrire ai consumatori prodotti di ottima qualità a prezzi accessibili, in ambienti decorosi, e inoltre tutelare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che ne fanno parte.
La prima cucina apre nel ’17 all’interno della Manifattura Tabacchi. Seguono i ristoranti in via Dante, via Farini, viale Lodovica, via Solari, Via Bordoni, Viale Abruzzi, Corso Lodi. E inoltre, all’interno della Marelli e della Pirelli a Sesto San Giovanni.
Per un certo periodo, l’impresa cresce. Ma, per gli obiettivi che si è data, la Società Anonima Cooperativa Cucine Popolari e Ristoranti Economici non ha mai vita facile, sempre in bilico fra il pareggio di bilancio e il “rosso”. Nel 1942, con l’Italia di nuovo in guerra e il razionamento alimentare, nel Verbale dell’Assemblea generale si legge che le spese più alte sono quelle sostenute per il personale, a causa dei maggiori contributi per assegni familiari e “premio operosità.” Emerge in questo passo lo spirito della Cooperativa:
“Non è la nostra Società che mira in questi momenti di particolari difficili condizioni a realizzare l’utile: come venticinque anni or sono alcuni enti milanesi gettarono le basi della costituzione della nostra Cooperativa, per offrire alle varie categorie di cittadini il mezzo per consumare cibi sani in ambienti decorosi e a prezzi limitati, anche oggi – che il problema si ripresenta nella sua totalità, complicato da tutte le norme relative al razionamento e al tesseramento – esula dai nostri scopi qualunque carattere speculativo ed unica nostra meta è il pareggio del bilancio.”
Negli anni Cinquanta, la Cooperativa riesce nel difficile intento di bilanciare la sostenibilità economica coi prezzi calmierati.
Gli anni di svolta sono queli della seconda metà dei Sessanta, quando la passività diventa insostenibile. Sarebbero troppi i soldi da investire per ammodernare locali e strutture per conquistare nuovi clienti, il sistema di fornitura della materia prima si è trasformato, la Cooperativa dovrebbe aumentare i prezzi e venire meno alle premesse per cui è stata fondata. Così, nel 1973, la Cooperativa viene fusa nell’Unione Femminile nazionale, società cooperativa con finalità affini.
Dell’ABC si è parlato in occasione della Domenica di carta. Gli archivi raccontano il cibo, che si è svolta l’11 ottobre 2015 a Milano con il patrocinio dell’Archivio di Stato di Milano e la Soprintendenza Archivistica della Lombardia.
Qui l’intervento di Ermis Gamba (archivista, Unione femminile nazionale) e qui le slide con le foto d’archivio.
E. C.