Nel 1902, in Italia, ogni abitante spendeva 7,60 per l’esercito a fronte di 1,80 per l’istruzione. Lo rendeva noto il periodico “Unione femminile” (n. 9-10) citando i dati di diversi paesi europei raccolti da Camillo Flammarion (e senza specificare l’unità di misura, se lire o percentuale). La redazione del periodico dell’Unione femminile nazionale pubblicava la tabella senza commento. I numeri “nudi e crudi” parlavano da soli nel raffronto con gli articoli e le notizie del giornale, sistematicamente dedicati alla denuncia dello sfruttamento del lavoro minorile, della diffusione dell’analfabetismo, dei difetti del sistema scolastico, della miseria materiale e morale derivante dalla mancanza di formazione professionale femminile.

Ufn_1902_9-10

Se nel 1902 l’Italia spendeva per l’istruzione 4 volte meno che per l’esercito, che cosa accade oggi? Nel 2014  le spese militari ammontano a 29,2 miliardi di euro (dati Sipra commentati da Il Manifesto), quelle per l’istruzione circa 49,66 miliardi di euro (fonte tecnicadellascuola). La situazione è migliorata, dunque, ma c’è ancora molto da fare. Secondo i dati Ocse riportati dal Corriere, nel periodo 2007-2013, in Italia, a fronte di un aumento della spesa per il welfare del 3,9%, la spesa militare risulta scesa di appena lo 0,1%. L’Italia è al 12° posto al mondo per spese militari, mentre è il Paese che spende di meno nell’istruzione fra gli Stati europei membri dell’Ocse in rapporto al proprio prodotto interno lordo (dati 2014).

 

Immagine: Giuseppe Scalarini