Intervento di Giuliana Franchini alla inaugurazione della mostra Le donne verso il voto del 1946 nelle carte della Prefettura di Milano (Archivio di Stato di Milano, 8 novembre 2016), nell’ambito di Il voto alle donne: non solo 70 anni
L’entrata a Montecitorio il 25 giugno 1946 di 21 donne elette deputate dell’Assemblea Costituente può essere letta da due punti di vista opposti, che rispecchiano però, entrambi, aspetti della realtà politica e culturale del momento.
Per un verso si può a ragione affermare che si trattò di un evento epocale. La presenza di 21 deputate in un luogo e che fino a quel momento era stato monoliticamente maschile segnava nel modo più esplicito la fine della secolare esclusione delle donne dalla sfera del potere politico fatta propria e mantenuta a lungo dalle stesse democrazie liberali.
Basti pensare che ancora nel primo decennio del Novecento la legge dello Stato liberale italiano che regolava le elezioni amministrative sanciva l’esclusione delle donne dal voto assimilandole ad altre categorie di paria in stato di minorità giuridica o sociale. Il testo recitava:
« Non sono elettori né eleggibili : a) gli analfabeti; b) le donne; c) gli interdetti e gli inabilitati; d) i condannati per oziosità, vagabondaggio,mendicità; e) gli ammoniti; f) i condannati alle pene dell’ergastolo».
La cittadinanza politica e l’elezione all’Asssemblea Costituente sono anche per le donne italiane il punto d’arrivo – in ritardo rispetto ad altri paesi – di un secolo di lotte femminili per la conquista di diritti e rappresentano un’importante novità storica.
Per un altro verso si può però dire, come subito notarono alcune donne già impegnate nella Resistenza, che 21 donne elette su 556 deputati sono una percentuale ben esigua (il 3,7 del totale). È un fatto che segnala la permanenza di ostacoli, diffidenze, resistenze culturali nei confronti della rappresentanza politica femminile, diffuse sia tra gli elettori uomini e donne che ritenevano più affidabili i candidati maschili, sia soprattutto nei partiti e nei loro ceti dirigenti.
Significativo, a questo proposito il fatto che il Psiup, che raccolse il 30 % dei voti portando all’Assemblea costituente 115 deputati, fece eleggere due sole donne: Lina Merlin militante e dirigente di provata esperienza, già attiva in epoca liberale e la giovane fiorentina Bianca Bianchi, impegnata nella Resistenza. Le militanti del Partito d’Azione avevano avuto ruoli importanti nel pensiero e nell’azione della Resistenza ma non ne fu eletta nessuna e così avvenne anche per le liberali.
Segni di continuità con il passato sono anche i commenti della stampa. Il 25 giugno del 1946, mentre i settimanali illustrati di larga diffusione si soffermano sui vestiti e sulle pettinature delle deputate, i giornali di opinione tracciano brevi biografie che enfatizzano la vita privata delle Costituenti, premurandosi di assicurare al pubblico che in molti casi si tratta di donne che sono anche mogli e madri di famiglia. È un chiaro indice di quanto nel sentire comune l’identità femminile sia ancora strettamente associata ai ruoli familiari e di come si tenda a riconoscere una patente di affidabilità solo alle donne che li rivestono.
E invece proprio l’impegno e la passione politica, intesi in senso alto, sono la chiave di lettura delle biografie delle Costituenti, un impegno e una passione che hanno avuto costi altissimi nelle vite individuali: esilio, anni di carcere e di confino, sacrificio degli affetti personali e familiari.
Le 21 donne della Costituente appartengono a generazioni e schieramenti politici differenti: entrano a Montecitorio 9 deputate per Partito comunista, 9 per la Democrazia cristiana, 2 socialiste e una rappresentante dell’effimero raggruppamento dell’Uomo Qualunque [1]
Sono presenti sostanzialmente due generazioni: la maggioranza è nata nel primo decennio del Novecento, o addirittura sul finire dell’Ottocento, si è formata e ha avuto esperienze politiche nell’Italia liberale, ha visto l’ascesa del fascismo e vi si è opposta; le giovani, circa un terzo, hanno tra venticinque e trentacinque anni, sono state educate sotto il fascismo, la loro esperienza politica è stata la Resistenza.
La più anziana è la socialista Lina Merlin, eletta alla Costituente alla soglia dei 60 anni con una una lunga storia di militanza politica alle spalle. Merlin aveva aderito al Partito socialista veneto negli anni drammatici del primo dopoguerra. Segretaria del comitato elettorale veneto durante la campagna elettorale del 1924, aveva inviato molti dati sulle illegalità squadriste al deputato Giacomo Matteotti che li aveva usati per stendere il documentato atto di accusa al fascismo che sarebbe stato tragicamente all’origine del progetto di assassinarlo. Espulsa dall’insegnamento per aver rifiutato di prestare giuramento al regime, era stata inviata al confino in Sardegna e aveva poi operato nella Resistenza a Milano (v. Giuliana Franchini, Lina Merlin, in: About gender, n. 10/2016).
La costituente più giovane è la comunista Teresa Mattei, venticinquenne, espulsa adolescente dal liceo per aver contestato una lezione sulle leggi razziali, militante del Pci dal 1942, poi combattente nella Resistenza toscana.
Cattoliche da un lato, comuniste e socialiste dall’altro, portatrici di visioni diverse della società e del mondo, sono tuttavia unite dall’antifascismo e dalla volontà di costruire la democrazia. La loro precedenti esperienze politiche hanno però seguito strade diverse.
Per la maggior parte delle comuniste l’opposizione frontale al fascismo ha richiesto scelte che non è esagerato definire eroiche. Quando si leggono le biografie di Teresa Noce, di Adele Bei, di Elettra Pollastrini, non ci si può che stupire delle capacità politiche e della forza morale di queste straordinarie figure di donne, ma anche della durezza di un impegno che le costringe a sacrificare al progetto ideale affetti e istanze di felicità personale.
Teresa Noce nasce a Torino nel 1900 in una famiglia poverissima. Il padre, incapace di assumere responsabilità familiari, ha abbandonato la moglie e i due figli bambini Madre e figli abitano in uno dei peggiori quartieri della periferia torinese chiamato le Cà neire, perché gremito di concerie che anneriscono i muri delle case.
Come racconta nella bellissima autobiografia scritta sul finire della sua esistenza (Rivoluzionaria professionale, 1973) Teresa, brava scolara e lettrice appassionata, deve lasciare la scuola dopo la quarta elementare e a10 anni, è già al lavoro come apprendista in laboratori di sartoria e stireria. Il lavoro faticoso non la spaventa, ma cambia spesso laboratorio per il suo carattere indipendente:
«Generalmente venivo via perché mi offendevano – scrive – Mia madre non mi capiva. Mi giudicava troppo orgogliosa e mi diceva che chi non ha niente non può permettersi di avere orgoglio. Io rispondevo che chi non ha altro deve conservare almeno la fierezza.»
A 11 anni, mentendo sull’età, si infila nel primo sciopero delle sartine torinesi che chiedono la riduzione a 10 ore della loro giornata lavorativa. Le fa da guida il fratello, garzone, poi operaio metallurgico, iscritto alla FIOM e al Circolo giovanile socialista che le parla delle lotte di fabbrica e delle organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori torinesi.
Ma la guerra, a cui invano le classi popolari della città avevano cercato di opporsi, si accanisce sulla precaria famiglia Noce: nel 1917 muore la madre, vittima dell’epidemia di spagnola e, terribile ironia, l’amato fratello muore in un incidente aereo proprio l’ultimo giorno di guerra:
«Fu terribile – scrive Teresa – non mi rassegnai alla morte di mio fratello. Non potevo e non era giusto. Non avevo che lui. Il dolore fin da allora mi si trasformò in desiderio di lotta. Dovevo prendere il posto di mio fratello, dovevo lottare per lui che non poteva più farlo».
Si iscrive alla sezione torinese del Psi e dà vita a un circolo giovanile operaio nel suo quartiere. Dopo la scissione di Livorno nel1921 passa nel Partito comunista d’Italia.
In questo periodo inizia il suo rapporto d’amore con Luigi Longo, studente di ingegneria di famiglia borghese, che, contro la volontà della famiglia, trascura gli studi per l’impegno politico nel Pcd’I. I due vivono in ristrettezze sotto la perenne minaccia di perquisizioni poliziesche e di incursioni squadriste. Ma quando Teresa resta incinta decidono di tenere il bambino a cui viene dato il nome di Luigi come Longo e Libero come augurio perché il padre in quel momento è in carcere. Due anni dopo nascerà un secondo bambino che sarà dato a balia per una grave malattia di Teresa e morirà di meningite. Il terzo figlio, Giuseppe, nascerà a Parigi nel 1929.
Dopo l’emanazione delle leggi speciali nel 1926 la vita e l’attività politica di Teresa e di Longo si svolgono all’estero. I due ricevono dal loro partito incarichi di sempre maggiore responsabilità che li portano a spostarsi da Parigi, a Mosca, a Madrid costringendoli a lunghe separazioni. Particolarmente dolorosi per Teresa sono i ripetuti distacchi dai figli.
La sua attività nel periodo dell’esilio è intensissima: si muove da un capo all’altro dell’Europa con passaporti e nomi falsi (Estella, Lina, Claude), rientrando clandestinamente in Italia per riorganizzare le reti comuniste in Emilia, collabora con Di Vittorio a Parigi nella direzione estera della CGIL, dirige giornali a sostegno delle Brigate Internazionali nella Madrid della guerra civile, partecipa alla Resistenza francese. È arrestata, consegnata alla Gestapo e deportata nel lager di Holleischen in Cecoslovacchia da cui uscirà dopo un anno e mezzo nel stremata nel fisico, ma decisa a riprendere la lotta.
Quando in Italia rivedrà i figli, rifugiati a Mosca durante la guerra, il più grande è sposato, il piccolo è adolescente. Non si ricomporrà invece il rapporto con Longo, logorato dalle troppe separazioni.
Esperienze simili e altrettanto dure sono quelle di Adele Bei (Battistella) marchigiana, nata in una famiglia contadina di 11 figli, lei stessa bracciante. Dopo l’ascesa al potere del fascismo prende la via dell’esilio insieme al marito comunista. I due si stabiliscono in Belgio, poi in Lussemburgo, a Marsiglia e a Parigi. Adele lavora come sarta e operaia in una fabbrica di conserve. Nel 1931 entra a sua volta nel Partito comunista e nella lotta clandestina. Arrestata nel 1933 durante una missione a Roma, sconta 8 anni nel carcere femminile di Perugia e altri due di confino a Ventotene, mentre il marito nel 1939 è arrestato e deportato nel lager di Buchenwald e i bambini sono ospitati in Unione Sovietica nella Casa internazionale di Ivanovo destinata ai figli delle vittime del fascismo.
Anche Elettra Pollastrini e Maria Maddalena Rossi pagano la loro opposizione al fascismo con esilio, carcere e confino e Nadia Gallico Spano, nata Tunisi in una famiglia della borghesia professionale, quando intraprende l’attività antifascista clandestina è costretta ad interrompere gli studi universitari e ad affrontare lunghi periodi di separazione dalle figlie.
Diversi i percorsi biografici e politici delle deputate democristiane: negli anni del fascismo hanno il privilegio di poter fare esperienze organizzative e politiche al riparo dalla repressione nelle associazioni cattoliche che il regime, grazie al Concordato, è costretto a tollerare.
Molte (Laura Bianchini, Maria de Unterrichter, Elisabetta Conci, Angela Gotelli) rivestono ruoli dirigenti nella Federazione degli Universitari cattolici (FUCI) e nel Movimento dei laureati cattolici,circoli aperti alla discussione religiosa e civile.
L’apprendistato politico della decana Maria Guidi Cingolani è precedente al fascismo Nel primo dopoguerra è stata segretaria del Gruppo Femminile romano del Partito Popolare di Don Sturzo e ha promosso la nascita di cooperative di lavoratrici. Anche nel Ventennio ha mantenuto contatti con il Bureau International du Travail di Ginevra.
Un’altra personalità significativa, Maria Agamben Federici, insegnante e giornalista, futura dirigente del Centro Italiano Femminile (CIF), l’organizzazione femminile vicina alla Democrazia cristiana, durante il fascismo si era trasferita all’estero con il marito regista e critico teatrale, insegnando negli Istituti italiani di cultura a Sofia, in Egitto e a Parigi.
Le cattoliche si mobilitano durante la guerra, soprattutto nel ’43 dopo l’armistizio e l’occupazione tedesca. Sono attive nella Resistenza civile, forniscono aiuto e assistenza a perseguitati politici, prigionieri, ebrei, sfollati, vittime di bombardamenti. Alcune partecipano anche alla Resistenza armata, come la bresciana Laura Bianchini che collabora con la Brigata partigiana cattolica delle Fiamme Verdi.
È importante sottolineare che, al di là dei diversi orizzonti ideali e politici le 21 Costituenti, si sentono investite della responsabilità di inserire nel testo costituzionale il principio della parità di diritti tra i due sessi, agiscono cioè coscientemente come una rappresentanza di genere.
È merito delle Costituenti, in particolare della socialista Lina Merlin, memore delle tenaci lotte delle emancipazioniste e delle socialiste in epoca liberale se l’articolo tre della Costituzione italiana ha l’attuale formulazione. Inizialmente il testo proposto recitava:«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di lingua, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» I proponenti sostenevano che la locuzione«tutti i cittadini» includeva automaticamente le donne, ma Merlin insistette perché dopo le parole «senza distinzione»fosse aggiunta anche la specificazione «di sesso», così argomentando:
«Onorevoli colleghi,molti di voi sono insigni giuristi,io no, ma conosco la storia. Nel 1789 furono proclamati in Francia i diritti dell’uomo e del cittadino e le costituzioni si uniformarono a quella proclamazione,che in pratica fu solo platonica,perché cittadino fu considerato solo l’uomo con i calzoni,non le donne».
[1] Questi i nomi delle deputate: per il Pci: ADELE BEI ( 1904-1976), NADIA GALLICO SPANO (1916-2006), LEONILDE IOTTI (1920-1999), ANGELA MINELLA MOLINARI (1920-1988), TERESA MATTEI (1921-2006), RITA MONTAGNANA TOGLIATTI (1895-1979), TERESA NOCE (19000-1980), ELETTRA POLLASTRINI (1908-1990), MARIA MADDALENA ROSSI (1906-1995); per la Dc: MARIA FEDERICI AGAMBEN (1899-1984), LAURA BIANCHINI (1903-1993), ELISABETTA CONCI (1904-1976), MARIA DE UNTERRICHTER JERVOLINO(1902-1975), FILOMENA DELLI CASTELLI (1916-2010), ANGELA GOTELLI (1905-1996), ANGELA MARIA GUIDI CINGOLANI (1896-1991), MARIA NICOTRA FIORINI(1913-2007), VITTORIA TITOMANLIO(1899-1988); socialiste: BIANCA BIANCHI (1914-2000), ANGELIA MERLIN (1887-1979); per l’Uq: OTTAVIA PENNA (1907-1986)