Autobiografia di una partigiana combattente durante la guerra di liberazione dal nazi-fascismo. Onorina Brambilla Pesce lottò nei Gruppi di difesa della donna e nei Gruppi di azione patriottica finché fu arrestata e reclusa in un campo di concentramento. Poi, nell’Italia Repubblicana, fu sindacalista nella Fiom e militante comunista.

I fatti della vita di Onorina, nome di battaglia Sandra, scorrono con parole precise, come una cronaca. Le origini proletarie, l’infanza alla Cascina Rosa di Milano, il primo lavoro da operaia e l’incontro con l’organizzazione clandestina antifascista. La lotta partigiana, il rapporto con le compagne e i compagni tra cui Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, comandante dei Gap – i gruppi che conducevano la lotta armata nelle città. L’arresto, la tortura, la reclusione nel carcere di Monza e poi nel campo di concentramento di Bolzano. Dopo il 25 aprile del 1945, la marcia nella neve per tornare a casa e la feste per la Liberazione, il matrimonio con Giovanni Pesce e la nascita di una figlia.

La storia del dopoguerra e quella di una donna che partecipa attivamente alla vita politica della giovane Repubblica, a partire dalla condizione di donna e lavoratrice come “rivoluzionaria di professione“, dice di sé Onorina, raccontando di una passione che sovrastava su tutto il resto.

Poi entrai nella Fiom, la componente sindacale dei lavoratori metalmeccanici. Ero nel comitato centrale, dirigevamo il lavoro sindacale, organizzavamo incontri, convegni, scioperi in difesa del posto di lavoro.
Talvolta eravamo delusi, avevamo vinto la nostra guerra di Liberazione e credevamo che la nostra vittoria avrebbe coinciso con il cambiamento, sia pure graduale, delle strutture economiche e sociali del paese, così da eliminare le ingiustizie contro le quali avevamo combattuto. Non pensavamo certo a un ritorno della cosidetta democrazia prefascista.
Ci eravamo illusi? Forse sì. Ma quello fu il periodo più bello della nostra vita, e non solo perché eravamo giovani, ma perché fu il più onesto, il più pulito e soprattutto perché avevamo un obiettivo.

Il racconto di Onorina si chiude sui ricordi del “Bistrot”, un locale di liquori e di vini avviato e gestito insieme a Giovanni Pesce.

Il libro prosegue con altri documenti, utili a contestualizzare il racconto autobiografico: il prezioso apparato di note curate da Franco Giannantoni e Roberto Farina; le lettere di Onorina durante il periodo di reclusione; una intervista di Roberto Farina ad Antonio Pizzinato; un ricordo di Sergio Ricaldone; una sezione di fotografie e i ricordi poetici di Tiziana Pesce.

Quando penso alla mamma
penso al suo realismo
e alla sua caparbietà.
la sua esperienza di partigiana
mi ha dato una spinta straordinaria
che mi ha permesso di vivere la vita
di tutti i giorni

Il pane bianco. Memorie di una partigiana

di Onorina Brambilla Pesce. Da una conversazione con Roberto Farina.
Milieu, 2013
175 pp., € 14,90