Abigaille Zanetta (1875-1945) è stata una protagonista del socialismo italiano e milanese. Maestra, pacifista senza se e senza ma, poi antifascista, nel primo decennio del Novecento la troviamo impegnata anche nelle lotte per il suffragio e per l’emancipazione femminile a fianco di Paolina Schiff, Carlotta Clerici, Linda Malnati, Emilia Mariani, Teresa Labriola, Bice Cammeo. Ed è in particolare questo aspetto della biografia di Zanetta che Concetta Brigadeci porta in evidenza, rileggendo la recente monografia a cura di Stevani e Barberini alla luce della storiografia di genere.


“La storia […] ha perfino un compito terapeutico, in quanto fornisce un antidoto, o un dispositivo per dare spessore e profondità all’esperienza individuale, per mostrarne il suo tessuto connettivo con l’universale. Essa riscatta l’individualità dei singoli e la mostra densa di storia: lungi dall’essere ineffabile, l’individuo è l’essere più ricco di specificazioni.Nell’incontro tra Erlebnis e storia il vissuto si contestualizza e il contesto si individualizza, focalizzandosi su persone ed eventi particolari, sino a giungere alla biografia. [1]

La contestualizzazione del vissuto del singolo ridefinisce il quadro biografico di una collettività, di una generazione, così la biografia di uno diventa la biografia di tutti. Chi, però, scrive una biografia sceglie e seleziona fonti che risuonano nel proprio percorso biografico. Scrive Eleni Varikas: “Al giorno d’oggi è noto a tutti che ogni biografia, in misura maggiore o minore, è un’autobiografia”[2]. Il rischio, secondo questa studiosa, è non tanto l’empatia, che implica “un atteggiamento di comprensione e anche di complicità”, quanto l’identificazione con l’oggetto/soggetto studiato[3]. Rischio che è facile correre, trattandosi di una figura come Abigaille Zanetta che apre questioni ancora aperte sia nel dibattito della sinistra comunista italiana, sia nell’ambito del neofemminismo dei primi anni Settanta che ha dovuto affrontare, come il primo femminismo all’inizio del Novecento, il rapporto tra Partito e femminismo d’area socialista, il separatismo, l’accusa di portare il paese verso una deriva conservatrice ecc. Questioni che vorrei delineare a partire dal ben documentato volume di Angela Stevani Colantoni e Carlo Antonio Barberini, Abigaille Zanetta: maestra a Milano tra guerra e fascismo (Pantarei, 2016).

La lettura della monografia su Zanetta mi ha portato indietro nel tempo, ai miei primi di anni di femminismo (1971) e alle battaglie sostenute nei confronti dei compagni per legittimare il separatismo dagli uomini dei collettivi femministi, per mostrare come la lotta delle donne rientrasse all’interno di una più generale lotta non solo per la liberazione della donna ma per l’umanità intera; e affermare che le battaglie per l’autodeterminazione del corpo femminile e il riconoscimento del valore del lavoro casalingo e di cura, andavano verso una società più giusta, senza disuguaglianze di classe e di sesso.

In particolare, alcuni passaggi della biografia tratteggiata da Stevani mi avevano colpita: il vuoto storiografico che precede il passaggio di Abigaile Zanetta dal cattolicesimo all’iscrizione al Psi, avvenuta nel 1910, nonostante in alcuni suoi scritti tra il 1908 e il 1909 si trovino elementi di rottura, collocabili su un terreno di lotta per l’emancipazione della donna.

Di Abigaille Zanetta, come maestra, ardente militante della sinistra socialista milanese, avevo sentito tanto parlare dalla presidente dell’Unione femminile, Angela Stevani Colantoni. E questo libro, adesso, restituisce quasi nelle sua interezza il suo percorso di formazione culturale e politica: apertamente schierata contro la guerra, subisce nel 1918 il confino e il carcere, insieme al suo compagno di partito Bruno Fortichiari; nel 1924 è comunista e come antifascista è di nuovo in carcere a S. Vittore dal 14 giugno al 4 dicembre del 1927, già in regime fascista, da dove esce, provata fisicamente.

Ma di Abigaille a sprazzi, qui e là, avevo letto, senza però avere un quadro organico della sua personalità. Andando a rileggere saggi sul primo femminismo in Italia, il nome di Abigaille ricorre frequentemente. Già nel 1974 Franca Pieroni Bortolotti in Socialismo e questione femminile in Italia[4] rende conto del controverso rapporto tra femministe socialiste e partito e della spaccatura all’interno del femminismo con l’ala moderata del CNDI (Consiglio nazionale delle donne italiane), favorevole alla guerra di Libia e poi alla I Guerra mondiale, e tra le femministe socialiste della “Difesa delle lavoratrici”, dove nel 1915 prevale la linea interventista di Giselda Brebbia, Margherita Sarfatti, Regina Terruzzi, con le conseguenti dimissioni dalla direzione del giornale nel 1915 della “intransigente Abigaille Zanetta[5], assimilata dalla Bortolotti alla corrente paritaria “di intonazione massimalista e luxemborghiana dell’organizzazione femminile socialista”[6].

E’, però, nel 1988 che Annarita Buttafuoco, in Cronache femminili: temi e momenti della stampa emancipazionista in Italia dall’Unità al fascismo[7], ci dà informazioni più complete sull’impegno politico di Zanetta negli anni precedenti il 1910, anno in cui la nostra si iscrive al Psi e su cui si concentra soprattutto la ricerca di Carlo Antonio Barberini[8].

La sua firma si trova dal 1908 sul settimanale «L’Alleanza. Rassegna sociale, politica, femminista per l’istruzione civile della donna»,[9] diretto dalla socialista Carmela Baricelli il cui primo numero esce il 7 aprile del 1906 a Pavia e l’ultimo il 31 ottobre del 1911, con la collaborazione di nomi conosciuti del movimento politico delle donne di area socialista e femminista come Paolina Schiff, Carlotta Clerici, Linda Malnati, Emilia Mariani, Teresa Labriola, Bice Cammeo (già redattrice dal 1901 al 1905 del periodico milanese «Unione femminile»). Nei primi due anni, il settimanale, in controtendenza con altri periodici femminili su cui troviamo firme maschili, accetta solo collaborazioni femminili[10]. Dal numero 165 del 15 febbraio del 1910 Zanetta sarà codirettrice responsabile della redazione di Milano. «L’Alleanza», il cui obiettivo è l’struzione delle donne, rappresentò una “palestra dei dibattiti del femminismo italiano” e, anche se non ufficialmente, l’organo dei Comitati Pro suffragio sia regionali che nazionali[11], istituiti in tutta Italia nel 1905, un anno dopo la proposta di suffragio maschile e femminile avanzata dal deputato Mirabelli.

Nel 1908, Zanetta, prendendo posizione nel dibattito a proposito del separatismo dagli uomini all’interno dei Comitati pro suffragio, scrive:

“Non illudiamoci, donne: di amici disposti a fare del platonismo democratico e del femminismo ad usum delphini ne abbiamo intorno un maremagno; ma di fedeli là dove finisce l’accademia e comincia la battaglia ne restano pochi […] confidiamo in noi e destiamoci alla coscienza di quella forza civile che realmente siamo”[12].

Si mette qui in discussione la non indispensabilità degli uomini per l’esistenza del movimento, e si dà fiducia nella forza delle donne, anche se non si mette in discussione il ruolo del Psi per la realizzazione del loro obiettivo.

Sono gli stessi anni in cui Zanetta scrive su «Cooperazione italiana» dove, come Angela Stevani Colantoni riferisce, prende posizioni contro “la campagna antifemminista degli uomini” fondata sulla “sfruttata ragione dell’oscurantismo femminile per ritardare l’ingerenza diretta della donna nella vita pubblica”[13]; o su «La scuola popolare» nel 1908, rivolgendosi alle maestre:

“che importa se la deficienza umana ancora ci respinge, ancora ci chiude le porte! Noi lanciamo tra le tenebre odierne una profezia di luce […]per il grembo sano e per lo spirito rinnovato della donna si passerà dal sogno alla realtà di un avvenire migliore!”[14]. Giustamente Angela Stevani commenta l’importanza della funzione generativa della donna per un’elevazione dell’umanità e per un “avvenire migliore”.

Tema questo che sarà ripreso da Zanetta nel 1909 in occasione del Quinto Congresso nazionale della Previdenza fra le società di Mutuo soccorso d’Italia svoltosi a Macerata il 29-30 agosto 1909. Si tratta del suo primo intervento pubblico, come membro della Lega per la tutela degli interessi femminili [15], apprezzato da Linda Malnati e Carlotta Clerici che ne sono le rappresentanti più in vista[16]. In questo intervento la nostra polemizza con la proposta degli industriali di formare la Cassa Nazionale di maternità, come richiesto al governo dal movimento politico delle donne, attraverso un’assicurazione contro le malattie (ipotesi respinta dal movimento). Ecco cosa scrive Zanetta:

“noi crediamo che la maternità non sia un malanno femminile bensì la più alta funzione della specie umana, la più preziosa funzione sociale e come tale reclami per diritto la tutela collettiva e legale”[17].

Sul suffragio femminile, tuttavia Filippo Turati, a nome del Psi, considera prematuro il voto alle donne perché esse, prive di una coscienza di classe, avrebbero sostenuto le forze conservatrici. Questa posizione è duramente criticata sui giornali specialmente femminili, e nel 1910 la stessa Carmela Baricelli, pur ammettendo la situazione descritta da Turati, ribadiva la giustezza degli obiettivi delle socialiste suffragiste e, pur confermando la sua adesione al socialismo, scriveva amaramente: “Ma di chi è la colpa? Dei socialisti stessi che portarono nel partito la più deplorevole malafede contro la donna”, seguendo la doppia morale che vuole a parole la donna socialista, nei fatti la propria donna a casa, “che disprezza[va] la compagna socialista, sfruttandola per la propaganda, ma abbandonandola poi, quando si tratta[va] di difenderla, di proteggerla di amarla”[18].. E sullo stesso numero della rivista prende posizione Zanetta per la quale il problema non è provare risentimenti nei confronti dei “maschi reazionari e conservatori anche in veste di socialisti e comunisti”, quanto di fare a meno della legge, di sovvertire le norme sociali con la disobbedienza civile:

“Noi donne ( o meglio troppe donne) hanno riposto le loro tenerezze nel’ottenere la legge.[…]Io vorrei domandare alle donne e agli uomini […] se noi non abbiamo tanta legislazione quanta basta per organizzarci tenacemente […]per irrompere in tutta la vita del lavoro e della coltura, per rivoluzionare l’educazione ed il costume, per costituire la famiglia (di fatto) sulle basi che vogliamo, per opporci a tutte le rancide consuetudini e a tutti i ridicoli veto che han la pretesa di renderci infelici. C’è una categoria di donne che riesce a vivere a suo modo contro tutte le leggi: quelle cattive, quelle antisociali. Che la forza di quelle buone sia di tanto inferiore?”[19]

e così commenta Annarita Buttafuoco “un’ipotesi affascinante quanto del tutto utopica, vista la tenace ricerca e difesa di un’immagine «perbene» da parte delle emancipazioniste italiane che, esasperando il loro rispetto delle convenzioni, tentavano di superare l’idea e la pratica della loro «trasgressione»”[20].

Tuttavia, questo invito alla trasgressione, praticata nelle scelte politiche, sempre in controtendenza rispetto a quelle più facili, non corrisponde a un suo modello di comportamento nella vita privata. Nel rapporto della Prefettura di Milano del 2 aprile del 1915 è presentata “di carattere piuttosto serio, di intelligenza svegliata e di buona educazione. Ha cultura superiore. Insegna nelle scuole normali e dall’insegnamento trae i mezzi sussistenza. Ha una sorella con la quale convive.”[21] Una vita normale, sembrerebbe.

Nel 1999 uno studio di Patrizia Gabrielli, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, si sofferma a presentare il percorso di formazione delle donne comuniste e tra queste ampio spazio è dedicato a Zanetta.

Gabrielli mette a tema la questione della trasgressione e della difficoltà per le militanti comuniste, alla ricerca di un nuovo modello femminile, di identificarsi con la figura materna, rifiutata perché tradizionale, senza però trovare un’identità femminile nuova, alternativa. La storica riflette sul ruolo della figura paterna, di cui queste donne sono orgogliose sia per le loro scelte politiche che culturali, e in cui si identificano compiendo a loro volta scelte coraggiose di cui i padri possano vantarsi. “La scalata verso l’emancipazione, che si identifica anche e soprattutto, almeno nella fase adolescenziale, con l’istruzione, ha però come coadiuvatore il padre, soggetto fondante delle nuove identità che si vanno costruendo sotto gli influssi dei mutamenti politico-sociali di fine secolo. Nelle biografie esaminate la figura paterna emerge raggiungendo il vertice della scala dei valori introiettata dalle singole.”[22]

In Zanetta la memoria del padre è presente, scrive un fascicolo su di lui, è fiera delle sue scelte politiche garibaldine e di quelle sociali di assistenza, si compiace della sua passione per le ricerche archeologiche. Anche Angela Stevani Colantoni sottolinea il suo orgoglio per il padre antifascista e quello della Zanetta per un padre verso cui prova “commozione e ammirazione”. .

Gabrielli sottolinea, inoltre, l’importanza della scrittura diaristica nel percorso formativo delle comuniste, che per Zanetta diventa il “sicuro rifugio per superare il profondo travaglio spirituale, il malessere generato dalla solitudine esistenziale, il peso della «cappa di piombo delle millenarie pesanti tradizioni»”.[23]

Il gusto della trasgressione rispetto ai ruoli femminili tradizionali, nonché alle regole vigenti nella scuola, è testimoniato da un suo articolo pubblicato, con lo pseudonimo di Atomo, nel 1901 su un giornale cattolico come «Il Bene», periodico del Pio Istituto dei figli della Provvidenza. Tra il 1901 e il 1902, Abigaille Zanetta, ancora cattolica, scrive su questo periodico articoli di psicopedagogia che intrecciano ricordi d’infanzia e principi teorici pedagogici in cui il gioco ha una valenza formativa importante, purché esso non sia imposto dall’alto ma sia sentito dal bambino come suo, sia pratico, costruttivo, che coinvolga tutto l’essere. Per sostenere questa tesi racconta episodi della sua infanzia in cui, sull’esempio del padre archeologo, rivela abilità manuali sorprendenti e il rifiuto di giochi da bambine:

“Come le formiche, come le api, come gli insetti miei amici io lavoro là tutto il giorno a portar granelli, a suggere, a bisbigliare, intenta in un’infinità di occupazioni[…] la coltivazione del giardinetto[..], la costruzione di giocattoli, di carriole[…], di archi, di frecce pel bersaglio. […] Raramente mi occupavo della bambola: bisognava che per questo ci fosse da compiacer qualche amica”[24].

Prendeva il gioco con serietà come la vita. E il gioco per lei insegna alla vita.

“Come nella libertà della vita il fanciullo s’educa ai forti pensieri e alla rettitudine della coscienza!”[25] Infatti, alla sua direttrice che le indica una sua scolara “fuori dalla legge” che esce dall’aula con la bambola risponde: “Quella bambina giuoca come studia, Signora, con la stessa serietà, con pari entusiasmo”[26].

La collaborazione di Abigaille Zanetta con «L’alleanza» finisce con la chiusura del settimanale nel 1911 e la dispersione del movimento emancipazionista. Nel Comitato nazionale pro suffragio era prevalsa sempre più la linea nazionalista e interventista sulla questione della guerra di Libia (il CNDI Consiglio nazionale delle donne, di orientamento moderato, è favorevole alla guerra) e da parte delle aristocratiche una linea moderata sul suffragio femminile limitato al censo e all’istruzione. Già nell’ottobre del 1910 al Congresso Nazionale di Milano Anna Kuliscioff aveva chiesto alle socialiste di allontanarsi dalla Società Pro suffragio, e di chiudere con la doppia militanza. Questo avverrà solo dopo il Congresso nazionale femminile di Torino del 1912, dove domina l’esaltazione dell’amor di patria e il sostegno alla guerra di Libia, nel totale silenzio di temi sul lavoro e sul suffragio. La maggioranza delle emancipazioniste di area socialista, infatti, abbandonerà la Pro Suffragio per confluire nei gruppi femminili socialisti. Nell’«L’alleanza» oltre a Carmela Baricelli, Linda Malnati, Giselda Brebbia e Abigaille Zanetta avevano espresso il loro deciso rifiuto della guerra in nome di una pace sentita come “fratellanza mondiale” dei lavoratori.[27]

Nel 1912, dunque, Abigaille inizia a scrivere su «La difesa delle lavoratrici» (di cui conserviamo in biblioteca il reprint completo), nata in quell’anno con la direzione di Anna Kuliscioff, dove continua a battersi per i diritti delle lavoratrici[28] e la pace.[29] Il saggio di Barberini, ben documenta l’attività di propaganda di Zanetta presso le lavoratrici, le insegnanti, attraverso i suoi scritti e i rapporti di polizia conservati nel Casellario Politico. La I guerra mondiale la vede schierarsi contro l’intervento italiano a favore di un internazionalismo senza confini nazionali: “Guerra e il virus mortale che la produce si chiama patria! […]. Questa guerra non può essere la nostra. Noi siamo del socialismo che deve vivere per fare un’altra storia”.[30] E’ sempre a favore di una piena cittadinanza femminile, pensata non come ricompensa per il grande lavoro svolto dalle donne durante la guerra, in sostituzione degli uomini, ma come diritto:

“Ma chi avrebbe il coraggio di sostenere che è più soldato il giornalista imboscato in divisa, l’industriale che fa i milioni per sé, con la fascia al braccio, di codeste povere donne militarizzate a far proiettili per il pane, a resistenza obbligata, sottopena della galera? […]. E risolviamo una volta, o signori d’Italia, il problema a fondo: la donna è o non è cittadina in faccia al diritto a tutto il diritto?”[31]

Il suo internazionalismo la porta a studiare e insegnare l’esperanto, e resta sempre fedele ai suoi principi socialisti e internazionalisti, nonostante le defezioni di alcune compagne di lotta e di penna, la maestra socialista Giselda Brebbia che aderisce nel 1919 ai fasci di combattimento, come Regina Terruzzi e Margherita Sarfatti, schierate con Mussolini e il fascismo.

Zanetta si rende conto dell’illusione in cui cadono le sue compagne e, quando Mussolini promette il voto amministrativo alle donne, non si lascia convincere.

E’ suo il resoconto del Congresso internazionale per il suffragio femminile sul voto amministrativo delle donne tenutosi a Roma nel 1923, dove Zanetta sottolinea il carattere classista e nazionalista del progetto di legge presentato al Congresso dallo stesso Mussolini che avrebbe garantito, a suo dire, la concessione del voto a parecchie categorie di donne, iniziando con il voto amministrativo[32].

Sappiamo, invece, come andò a finire. Anche qui Abigaille aveva ragione a prendere le distanze, perché con le leggi fascistissime la nomina del podestà sostituirà il voto elettivo del sindaco. E solo nel secondo dopoguerra le donne avranno accesso al diritto di voto.

Una figura, dunque, complessa e limpida nelle sue posizioni. Da cui imparare il coraggio e la coerenza.

Concetta Brigadeci

Abigaille Zanetta: maestra a Milano tra guerra e fascismo

di Angela Stevani Colantoni e Antonio Barberini
Ed. Pantarei, 2016

252 p., 10 €

Note

[1] Remo Bodei. Se la storia ha un senso, Bergamo, Moretti&Vitali, 1997, p. 57-58.

[2] Eleni Varikas, L’approccio biografico nella storia delle donne, in Paola Di Cori, Altre storie. La critica femminista alla storia, Bologna, Clueb, 1996, p. 364.

[3] Eleni Varikas, L’approccio biografico nella storia delle donne, op. cit. p.360.

[4] F. Pieroni Bortolotti in Socialismo e questione femminile in Italia: 1892-1922, Mazzotta, Milano 1974,

[5] Ead, ivi, p. 135.

[6] Ead, Sul movimento politico delle donne, Scritti inediti, a cura di Annarita Buttafuoco, Utopia, Roma, 1987, p. 35.

[7] A.Buttafuoco, Cronache femminili. Temi e momenti della stampa emancipazioni sta in Italia dall’Unità al fascismo, Dipartimento di Studi storico-sociali e filosofici, Università degli Studi di Siena, Arezzo, 1988.

[8] C. A. Barberini, Dalla sinistra socialista milanese al Partito comunista d’Italia, in A. Stevani Colantoni, C. A.  Barberini, Una figura di militante internazionalista: Abigaille Zanetta, maestra a Milano tra guerra e fascismo, Pantarei, Miano 2016, p. pp.57-129.

[9] Su questo settimanale, una scheda bibliografica in Annarita Buttafuoco e Rosanna De Longis (a cura di), La stampa politica delle donne dal 1861 al 1922: repertorio-catalogo, in «NUOVAdwf:donnawomanfemme», n.21, 1982, p.76;  notizie più approfondite in A. Buttafuoco, Cronache femminili, op.cit., pp-104-105,113-123.

[10] Ead., op. cit. p. 104. Almeno dal n. 1 al n. 89 del secondo anno, si precisa: “non si accettano che scritti di donne”; dal 4 gennaio 1908, la frase è sostituita da “si accettano anche scritti di donne”, in Eadem p.105.

[11] Ead., Cronache femminili, cit. p. 185

[12] A. Zanetta, A proposito di certa democrazia, in «L’Alleanza», 11 gennaio 1908, cit. in A. Buttafuoco, Cronache femminili, op.cit. p. 192.

[13] Citato in Angela Stevani Colantoni, La maestra cattolica diventa socialista, in Angela Stevani Colantoni, Carlo Antonio Barberini, Una figura di militante internazionalista: Abigaille Zanetta, op. cit. p. 36.

[14] Ead, op. cit., p. 40-

[15] La Lega nasce a Milano nel 1893, dal 1894 è guidata da Linda Malnati, sciolta nel 1898 e ricostituitasi, sotto la guida di Linda Malnati e Carlotta Clerici, nel 1905, in occasione della battaglia sul suffragio. Sulla Lega si veda A. Buttafuoco, Cronache femminili, op. cit., pp. 188-89. La Lega nasce nel 1893 anche a Torino con la guida di Emilia Mariani, maestra e socialista. E’ curioso, e sarebbe da indagare, che negli anni in cui le sorelle Zanetta insegnano a Torino nella Scuola Internazionale, che è privata, la Lega torinese nel 1897 intraprende una lotta con le insegnanti delle scuole private, dove vigeva un maggiore sfruttamento e una qualifica più bassa, e costituisce l’Associazione insegnanti privati. cfr. Vita femminile, febbraio 1897, cit in F. Pieroni Bortolotti, Socialismo e questione femminile in Italia, op. cit., p.40.

[16] Cfr.Bruno Fortichiari e M. Malatesta, Abigaille Zanetta 1875.1945, Tip. Saita, 1948, pp. 10-11, sulle relazioni politiche femminili di Abigaille cfr. Patrizia Gabrielli, Fenicotteri in volo. Donne comuniste nel ventennio fascista, Carocci,Roma 1999, p.144.

[17] Resoconto del Quinto Congresso Nazionale della Previdenza fra le Società di Mutuo Soccorso d’Italia, Macerata, 29-30 agosto 1909, Federazione italiana delle società di Mutuo Soccorso, Milano, 1910, p. 94, cit. in A. Buttafuoco, Questioni di cittadinanza. Donne e diritti sociali nell’Italia liberale, Protagon, Siena 1995, p. 183.

[18] C. Baricelli, Il suffragio universale e la donna, a l’on. Turati, in «L’Alleanza», 8 aprile 1910, cit. in A. Buttafuoco, Cronache femminili, op. cit., p. 215.

[19] A. Zanetta, Un po’ di psicologia dell’ora che passa,in «L’Alleanza», 8 aprile 1910., cit. in A. Buttafuoco, Cronache femm..  p.216.

[20] A. Buttafuoco, Cronache femminili, op. cit., pp. 216-17.

[21]  Citato in A. Stevani Colantoni, Carlo Antonio Barberini, op. cit. p. 84.

[22] P. Gabrielli, Fenicotteri in volo, op. cit. p., 60-

[23] B. Fortichiari, M.Malatesta, Abigaille Zanetta, op. cit. p.6; cit. in P. Gabrielli, op. cit. p. 62.

[24] Atomo [Abigaille Zanetta], Amore, moto, armonia nel mondo infantile, in «Il Bene», 1901, cit. in A Stevani, op. cit. p.25-

[25] Ead, op. cit. in A. Stevani, op. cit. p. 27.

[26] Ead. Op. cit. in A. Stevani, cit. p. 28.

[27] Sulla funzione dell’ «L’alleanza» per educare alla pace, cfr. Tiziana Pironi, Femminismo ed educazione in età giolittiana. Conflitti e sfide della modernità, edizioni Ets, Pisa 2010, pp. 155-165, in particolare A. Zanetta, Congresso per la pace, «L’alleanza», 31 ottobre 1910, cit. in ivi, p.165.

[28]Cfr. C. Antonio Barberini, Dalla sinistra socialista, in A.Stevani, C:A: Barberini, op.cit., p., 74, anche in Fiorella Imprenti, Operaie e socialismo:Milano, le Leghe femminili, la Camera del Lavoro, 1891-1918, Franco Angeli, Milano 2007.

[29] Cfr. Sull’impegno della rivista contro la guerra, si veda anche Tiziana Pironi, Femminismo ed educazione, op. cit., pp.166-177

[30] A. Zanetta, La nostra commemorazione dei morti, «La difesa delle lavoratrici»,1 novembre 1914

[31] A. Zanetta, Diritto…e rovescio!, «La difesa delle lavoratrici», 22 ottobre 1916, cit. in T. Pironi, Femminismo ed educazione, op. cit., p.175

[32]  A. Zanetta, A proposito del voto amministrativo, in «La difesa della lavoratrice», numero unico, 25 giugno 1923, citato in .Elda Guerra, Il dilemma della pace. Femministe e pacifiste sulla scena internazionale, 1914-1939, Viella, Roma 2014, p.81.