Che sia un libro particolare lo si capisce già dal titolo, dal sottotitolo e dal nome dell’autrice: contengono parole che il linguaggio contemporaneo sembra aver consegnato al passato oppure appeso al chiodo di un significato stereotipato.

Nome dell’autrice: Collettivo femminista Benazir. Ma non è un libro scritto negli anni Settanta e neppure una ristampa: prima edizione, 2012. Il collettivo Benazir nasce nel 2006 a Verona ed è composto da donne nate dopo il 1985. Come tante altre prima, hanno sperimentato l’attivismo nel gruppo misto e hanno sentito poi il bisogno di “separarsi” cioè di ricavare dalla quotidianità un luogo e uno spazio alimentato dalla parola tra donne in cui mettere a fuoco problemi e domande che non appartengono né solo alla sfera privata né solo alla sfera pubblica, ma che sono l’esatta interfaccia tra le due: la sessualità e il rapporto uomo-donna. ‘Politica’ rimane la parola chiave, politica nel senso di ciò che struttura la vita in comune a partire da tipi di relazione tra persone.

Così il sottotitolo: “il percorso politico sulla sessualità di un gruppo di giovani femministe”.

Possibile che ci sia ancora bisogno di parlarne? Oggi ragazze e ragazzi sembrano così disinibiti in fatto di sessualità. Il sesso è ovunque. L’abbinata sesso-potere è stato elemento ricorrente nel discorso mediatico recente. Informazioni sulla contraccezione non mancano, basta un click.

E allora perché, come osserva Olivia Guaraldo nell’introduzione, “paura, vergogna, senso di colpa” ricorrono così  frequentemente nei materiali di Benazir?

Il perché lo scopriamo leggendo questi documenti, che le autrici hanno scelto di restituire in forma di frammento: il libro infatti è composto da frammenti di mail, registrazioni e riflessioni nate dalle riunioni. Ne deriva non tanto una teoria quanto la proposta e la descrizione di un metodo.

Il metodo è quello dell’autocoscienza. Una pratica che affonda radici in saperi femminili antichi e in altri più recenti. Che le donne siano abituate a parlarsi e ad entrare in intimità più facilmente degli uomini è un fatto comune all’esperienza di molte e certamente condizionato dalle costruzioni storiche e sociali dei generi femminile e maschile.

Che questa apertura alla parola scambiata tra donne diventi elemento portante di pratica politica è esperienza che nasce e prende forma anche teorica con il femminismo degli anni Settanta.

Questa pratica è caratterizzata da alcuni elementi, tra cui il darsi fiducia a prescindere da una relazione amicale pre-esistente, avere come fine un miglioramento di sé e del mondo in cui si vive, osservare e descrivere gli intrecci fra diversi piani di esperienza (come si vive la coppia, come si vive l’ambiente di lavoro, come si vive il rapporto coi gentiori, coi figli etc.), esplicitare il proprio benessere/malessere in rapporto a quello che succede nel gruppo.

Così la descrive Guaraldo nell’introduzione:

Il gruppo – e le parole con cui ciascuna si dice, si confronta, si confida – è il teatro che mette in scena la natura costitutivamente relazionale dell’identità. Esso fa capire alle ragazze come a tale relazionalità sia legata ogni possibilità di trasformazione. Ecco perché il gruppo diventa politico. E questa politicità non è tale perché denuncia l’oppressione femminile, ma perché auspica e pratica la trasformazione a partire da una messa in discussione di ciò che – ancora in ambito sessuale – è considerato “normale”, “naturale“.

Attraverso il filtro dell’autocoscienza, il discorso sulla sessualità perde quel bagliore lustro da rivista patinata, dove l’argomento può essere facilmente sminuzzato in “consigli”: come avere gli orgasmi migliori, come far felice lui o lei a letto, eccetera. Qui siamo lontane mille chilometri anche dall’odore di pettegolezzo piccante che impregnava i discorsi bunga-bungheschi.

Le parole di Benazir sulla sessualità ci fanno lo stesso effetto della nudità. Come un corpo nudo in scena, che non si atteggia, non ammicca, semplicemente esiste. Non ci sono qui le tattiche dell’erotismo, che maschera e allude. Il clima che più si avvicina a quello percepito nel contatto con i frammenti di Benazir è quello di una seduta di psicoanalitisi. Per chi l’ha provato, un misto di luce e ombra, un impasto di sentimenti contrastanti, di possibilità e di fatica, di pesantezza e insieme di tumultuoso cavalcare.

Sono affrontati molti argomenti universali nell’esperienza femminile, perlomeno quella occidentale. Universali ma annebbiati da un bon ton diverso, ma non meno censorio, di quello tenuto dalle madri e dalle nonne. Le perplessità rispetto al coito, ad esempio, la difficoltà a parlarne con l’uomo amato, il senso di inadeguatezza, la paura di perdere l’altro nel manifestarsi per come si è. Certe contraddizioni verso la contraccezione, l’aborto e il desiderio di maternità che non si sa più dove collocare, visto che “la natura” non basta più a spiegare.

Più di tutto emerge la potenzialità del metodo e i processi che innesca. Le memorie di Benazir sono preziose e vi invitiamo a raccoglierle per farne tesoro.

Frammenti di autocoscienza. Il percorso politico sulla sessualità di un gruppo di giovani femministe

Collettivo femminista Benazir
Aracne, 2012
113 p. , 10€

 

E.C.