Oggi il termine femminicidio sta entrando nell’uso comune. Con esso si intende non soltanto che una donna è stata uccisa, ma anche il fatto che è stata uccisa da un uomo e che questo tipo di uccisioni non sono occasionali nelle relazioni uomo-donna, soprattutto quelle di ambito familiare. Femminicidio sta ad indicare dunque la ricorrenza del fenomeno. Avere una parola per nominare una situazione o condizione è già un primo passo per conoscerla e identificarla. Se c’è un problema, nominarlo è già un passo nella sua soluzione. Femminicidio dice anche che l’uccisione delle donne per mano di uomini, per essere compresa e contrastata, va letta in ottica sociale: qual è il ruolo delle donne vittime di violenza in una società? Hanno potere? Hanno autonomia economica? Come scrive Emanuela Borzacchiello nel raccontare la storia di questo termine a partire dagli studi di Diane Russell e  Jill Radfors nel 1992, il  femmicidio non è «da considerare un evento isolato nella vita delle donne vittime di violenze, bensì il tragico epilogo di un continuum di terrore fatto di abusi verbali e fisici, caratterizzato da una vasta gamma di manifestazioni di violenza: dallo stupro alla tortura, dalla schiavitù sessuale alla pedofilia, dalle molestie sessuali all’eterosessualità, sterilizzazione o maternità forzate fino alla mutilazione genitale» (1).

‘Femminicidio’ è una parola nuova anche perché la sensibilità con cui si guarda a questi omicidi e in generale alla violenza maschile sulle donne sta cambiando. Per secoli, infatti, il femminicidio è stato visto come un aspetto normale nella vita amorosa di donne e uomini, raccontato come delitto passionale o di gelosia. La gelosia e la difesa dell’onore come movente dell’uccisione di mogli, figlie e sorelle è stata un’attenuante nella pena anche nel nostro ordinamento giuridico, che solo nel 1981 ha abolito il reato di delitto d’onore già introdotto dal regime fascista (la violenza sessuale è divenuta reato contro la persona nel 1996, prima era considerata un reato contro la morale).

Che l’uccisione per gelosia – perché lei lo ha tradito – sia meno grave di altre fa parte di una mentalità molto radicata, in uomini e donne, che resiste al cambiamento. La persistenza delle vecchie chiavi di lettura è ancora presente nelle notizie di cronaca, tanto che l’Ordine dei giornalisti si è dotato di un Codice etico per la stampa in caso di femminicidio. Può essere utile ricordare che nel 2016 i femminicidi in Italia sono stati 145: una donna uccisa ogni due giorni, circa. Sul totale degli omicidi compiuti su donne nel 2016, 4 su 5 sono femminicidi, sono cioè maturati in ambito familiare o sentimentale e compiuti sulla donna in quanto donna (dati Istat) (2).  Che vi sia un codice etico in ambito giornalistico e che siano raccolti dati statistici sul fenomeno è comunque uno dei tanti segnali di rottura rispetto al passato e che lentamente le cose stanno cambiando, anche grazie all’impegno di donne e uomini nell’associazionismo e nel mondo del lavoro.

Qui vi proponiamo tre articoli che abbiamo trovato nei nostri archivi storici (Archivio Famiglia Majno, busta 45). Sono usciti tutti su «Il Secolo» del 25 marzo 1919. I corsivi sottolineati nella trascrizione sono nostri. L’uccisione della donna da parte dell’uomo per tradimento (supposto o reale) sono il filo conduttore del primo e del secondo articolo. Il primo sembra riportare in modo asettico la scena del femminicidio. Sembra asettico perché, come abbiamo visto, i «motivi di gelosia» e gli «istanti di esasperazione» implicitamente fanno apparire meno grave l’atto omicida; mentre il dettaglio di lei che cade nel proprio sangue ci fa vedere la scena, ad imprimere l’insegnamento che per una donna è meglio evitare di suscitare gelosia nei propri amanti. Il secondo articolo è tutto volto a tratteggiare la buona fede del marito e a sucitare in chi legge l’empatia con l’uomo che, cieco d’amore, ha sparato sulla «giovane moglie» (di lui non si sa se fosse giovane o meno) – anche qui con descrizione di «materia cerebrale» che schizza dalla ferita. Il terzo articolo ha un soggetto diverso dal tradimento, ma ha sempre a che fare con il possesso che un uomo si sente in diritto di reclamare, fino alla morte di colei che glielo nega. Un uomo vuole con sé l’ultimo degli otto figli che ancora vive con la madre dopo la separazione e, a fronte delle resistenze di lei, la colpisce con una scure per strada. Già che c’è colpisce anche la sorella di lei, che la accompagnava nel suo lavoro di levatrice.

Spara contro l’amante

Napoli, 25 mattina. Nel corso Meridionale al Vasto in casa di certa Assunta Billiardi conveniva spesso la sorella di costei Ersilia Di Lorenzo. La Di Lorenzo pare fosse in relazione col dott. Bruno Perone. Ieri in casa della Billardi i due si sono riveduti e, pare per motivi di gelosia, il dott. Perone in un istante di esasperazione, ha sparato contro la donna 4 colpi di rivoltella. La Di Lorenzo colpita da due proiettili è caduta nel proprio sangue. Il dott. Bruno Perone si è dato alla fuga mentre la disgraziata fu ricoverata d’urgenza all’ospedale. («Il Secolo», 25 marzo 1919)

Una tragedia della gelosia. Tenente che uccide la moglie.

Firenze, 24 notte. A Rifredi stamane è avvenuta una tragedia coniugale che ha destato vivissima impressione. Si trovava da qualche giorno in licenza il tenente veterinario Mario Palmiero di 30 anni sposato con la signora Fosca Benvenuti, la quale dimora col fratellastro Duilio Malesci, proprietario di un caffè a Rifredi, e con la cognata.
Il tenente è figlio del veterinario ai macelli comunali, dott. Beningo, da Ortona a Mare, il quale fu, per molti anni, segretario di Gabriele D’Annunzio, suo concittadino. Sei giorni fa giungeva in casa Palmiero una lettera, da Napoli, che capitò in mano al tenente. Era scritta da un uomo e diretta alla signora Fosca. La lettera conteneva frasi d’amore ardentissime. Il tenente, che non ebbe mai il minimo sospetto sulla fedeltà della giovane consorte, rimae allarmato. Chiamò la moglie e, alla presenza del fratello di lei, Duilio, le chiese conto dello stranissimo fatto. La signora ammise la relazione, ma disse che era semplicemente platonica, che non aveva avuti rapporti di carattere intimo con l’uomo che le scriveva; che vi era soltanto uno scambio di lettere e che tutto sarebbe terminato immediatamente. Il tenente Palmiero, che amava ardentemente sua moglie, e le non chiedeva in fondo che di prestarle fede e di illudersi, finì con l’attribuire la cosa ad una leggerezza della giovane signora, e perdonò. Fra i coniugi tornò la pace.
Frattanto il tenente procurava di sapere chi era l’amante. Gli risultò che quest’ultimo era un giovane impiegato al Banco di Napoli, che dimora a Napoli, ma che per ragioni del suo ufficio aveva frequenti occasioni di recarsi alla succursale di Firenze. La considerazione che, dopo tutto, l’amante era lontano, finì per tranquillizare il tenente Palmiero. Ma stamane giungeva una seconda lettera, e anche questa pervenne nelle mani del marito. Forse il Palmiero dalla lettura di essa si convinse che la passione della moglie era tutt’altro che platonica. Salito in camera dove essa si trovava, con la piccola figlia Maria, un amore di bimba di due anni e mezzo, chiese conto alla moglie della lettera, e forse anche di certe frasi che la lettera conteneva.
La giovane signora forse non seppe giustificarsi dinanzi all’evidenza dei fatti, o non seppe trovar parole che potessero indurre il marito a prestarle fede nuovamente: il marito, in un impeto di pazzo furore, e ormai certo del tradimento, estrasse la rivoltella e le sparò contro due o tre colpi a bruciapelo. La sciagurata signora cadde al suolo gravemente ferita. Un proiettile, entrato dalla regione auricolare sinistra, usciva dalla regione temporale destra, e dalla ferita era uscito sangue misto a materia cerebrale. Compiuto l’atto sanguinoso, il tenente usciva dalla stanza come un forsennato. Poco dopo la Misericordia trasportava all’Ospedale di Santa Maria Nuova la signora, che veniva giudicata in imminente pericolo di vita.
Il fatto ha suscitato immensa impressione fra gli amici, i conoscenti e i vicini della famiglia Palmiero, poiché la signora aveva sempre tenuto un contegno irreprensibile e piuttosto riservato. Sulla relazione di lei pare non vi sia alcun dubbio, perché è stata trovata la ricevuta di una lettera raccomandata dalla signora spedita a Napoli all’indirizzo di Renzo Bastiani, impiegato dell’ufficio cassa del Banco di Napoli. La signora aveva scritto anche stamane un’altra lettera a quell’indirizzo. Il Palmiero aveva ricevuto, ieri, l’ordine telegrafico di ritornare al suo reggimento, e stasera stessa sarebbe partito. Alla caserma dei carabinieri si abbandonava a scene di disperazione. Tra le grida e le lacrime, dimostrava la speranza che la moglie venisse salvata, e supplicava i carabinieri di dargliene la certezza. Più tardi è stato visitato dal padre, che ha abbracciato e baciato piangendo, e quando ha compreso dal suo contegno che non vi era più speranza si è abbandonato ad una nuova scena di disperazione. Prima di essere condotto alle Murate, ha raccomandato al padre la sorte della sua piccola creatura. («Il Secolo», 25 marzo 1919)

Ferisce con una scure la moglie e la cognata

Napoli, 24 notte. Mandano da Baronissi (Salerno) che, ieri sera, si svolse una tragica scena di sangue che ha impressionato vivamente la cittadinanza. Certo Sabati Giuseppe viveva diviso dalla moglie, Nesti Fiorentina, levatrice di 33 anni. Dal matrimonio erano nati otto figli, dei quali 7 stavano col padre, l’ottavo colla madre. Anche quest’ultimo era stato ripetutamente richiesto dal Sabati. Ieri sera la donna, in compagnia della propria sorella Raffaella si recava in vettura ad assistere una partoriente, allorché il Sabato affrontò il cavallo, lo fermò ed impose alle due sorelle di scendere adducendo di dover parlare con loro. Le donne obbedirono e il Sabati disse che intendeva in modo assoluto che gli fosse restituito il figliuolo. La moglie rifiutò protestando e ne nacque un vivace diverbio. Il quel momento passava di là un contadino che recava sulle spalle una grossa scure. Il Sabati gliela strappò di mano e si gettò furiosamente sulle due donne tempestandole di colpi: indi si dava alla fuga. Le due sorelle vennero trasportate all’ospedale dei Pellegrini dove sono state ricoverate in gravi condizioni. («Il Secolo», 25 marzo 1919)

 

(1) Emanuela Borzacchiello e Valeria Galanti, Femminicidio. Molte storie di donne in una parola (2013)

(2) Qui le slide presentate da esperte ed esperti al convegno di presentazione dei dati dell’indagine multiscopo sulla “Sicurezza delle donne” condotta dall’Istat in virtù della convenzione con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (28 marzo 2017).

L’immagine usata per l’articolo proviene da un progetto d’arte partecipativo che nasce in risposta ai femminicidi in America Latina. L’artista utiliza immagini donate da famiglia e amici per creare l’opera finale, che contiene 665 ritratti individuali su carta. Per maggiori informazioni www.rosamvaldez.com. Noi l’abbiamo scaricata da qui.

Eleonora Cirant