“Per dirla ironicamente la vecchiaia oggi arriva a nostra insaputa. Non si distingue dalle altre età. La camuffiamo. La allontaniamo. La rimuoviamo. Inseguiamo un’idea di immortalità. Dimenticando il numero dei nostri anni. Poi di colpo arriva la decadenza. Quella parola, che avevamo cancellato, come una raffica di vento spazza via il presente. È l’immagine di un cappello che non riusciamo più ad afferrare. Vola. Vola. Vola. Forse è il momento di lasciarlo andare”. (Adriano Prosperi,  “Io ci provo, ma quello degli storici sta diventando un mestiere inutile”, Repubblica, 9/5/2016)

Incontrare la vecchiaia. Incontri e confronti tra donne proposti e accompagnati da Marina Piazza, a cura di M. Piazza e Clara Mantica, ed. Libera Università delle donne, Milano 2016

Ho letto con emozione e forte empatia questo intenso e importante libro che il gruppo delle donne della Libera università delle donne ha scritto, con il coordinamento discreto e amorevole di Marina Piazza. Mi sono identificata al punto che ho dovuto prendere tempo prima di scriverne, per raffreddare e cristallizzare le risonanze che hanno avuto dentro di me. Sono, quindi, entrata nelle storie raccontate in punta di piedi, con tanta invidia per le donne che hanno potuto partecipare al gruppo.

Ho 64 anni e sono da due anni in pensione dalla scuola dove la scrittura autobiografica dei miei studenti era per me uno strumento importante per dare senso alla conoscenza, per emozionare e creare un ponte tra il presente, il passato e un futuro possibile. Difficile scrivere di sé se non c’è un setting, qualcuno che ti ascolta ed è pronto a comprendere e a non giudicare. E in questo gruppo le donne si sono sentite accolte, ascoltate, e il miracolo del racconto di sé è avvenuto, senza retorica, semplicemente.

Autobiografia, dunque, per rispondere alla domanda “chi sono io?”, domanda che ci accompagna per il resto della vita, perché le nostre identità sono mutevoli, così legate alle trasformazioni biologiche dell’età ma anche a quelle storico-culturali del tempo in cui viviamo e del tempo che percepiamo. E raccontarsi la vecchiaia risponde alla domanda “Chi sono io?” o meglio “cosa sono diventata/o?”. Perché la vecchiaia ha a che fare immediatamente con il corpo che si trasforma, che non risponde più agli impulsi dell’io, è lento, pigro, inadeguato rispetto alla velocità dei cambiamenti esterni, ansioso e stanco. Max Weber già nel 1919 scriveva: “A differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, oggi gli uomini non muoiono più sazi della loro vita, ma semplicemente stanchi”.

Si crea come una frattura tra l’io e il corpo, che non è più strumento per conoscere il mondo e andare, ma ostacolo all’essere al mondo, per cui, come scrive Umberto Galimberti,  “a far senso non è più il mondo, ma il corpo che la vecchiaia trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto d’attenzione”(U. Galimberti, Quando essere vecchi significava saggezza, “La Repubblica”, 29 febbraio 2008).

Una frattura che si riverbera nelle relazioni con il mondo, per cui ci si sente inadeguati, invisibili, non più soggetti erotici, anche se il desiderio di amore non muore. Di fronte a una società che sceglie la giovinezza e la telegenia come figure del Bene, la rottamazione del vecchio diventa la parola d’ordine della politica, e la giovinezza, come nel glorioso ventennio fascista, un valore. La faccia da vecchia diventa insopportabile e la cosmesi e le palestre fanno affari giganteschi per allontanare il fantasma della vecchiaia. Si rincorre così un’immagine di sé che non esiste, fantasmatica, con deliri di onnipotenza che tendono a fermare il tempo.

Non è il caso di questo gruppo che si è avvicinato a questioni grevi come la vecchiaia, la malattia e la morte, esponendo ognuna se stessa, i limiti del proprio corpo, le paure e i dubbi sulla propria morte e quella degli altri. Dopo il femminismo degli anni Settanta, in cui i temi del corpo, della sessualità, maternità e aborto erano centrali, con questo libro si ritorna a parlare del corpo e dei suoi limiti. Ci siamo pensate immortali, eternamente giovani, così scrive Jasmine Ergas, a proposito delle femministe di quegli anni, potenti. Quella generazione oggi piega lo sguardo sul proprio corpo mutato.

Marina Piazza e Clara Mantica, per rendere conto del primo anno di letture, discussioni e scritture, scelgono una scrittura per frammenti, citazionista, che se ha degli importanti precedenti, penso a Walter Benjamin, non concede al lettore il respiro, il ritmo del pensiero narrativo.

Più emozionante è la seconda parte dove l’io racconta esperienze dolorose del corpo ma anche di crescita interiore. Penso ai testi di Ornella Bolzani, che mette a fuoco il suo rapporto conflittuale con la madre che si scioglie solo con il tragitto penoso di accompagnamento alla morte; quello di Sonia Tsevrenis e della stessa Marina Piazza che raccontano il trauma subito, la violenza della malattia che rende totalmente dipendente all’altro, quello di Sisa Arighi, Clara Mantica, Simona Sieve, per citare alcune delle autrici.

 E’ Simona Sieve a porre il nesso tra vita e morte. La paura della morte e del mistero della vita delle partorienti che si affidano all’ostetrica e la paura delle donne di questo gruppo che si sente accolto e ascoltato . Perché la vita e la morte sono congiunte. Il mio desiderio di vita matura dopo la morte violenta di una mia amica coetanea, come anche il desiderio di nuovi amori. Sconfiggere la morte con la vita, con un sentire del corpo pieno, per sfuggire il vuoto, la morte.

Un altro nesso che mi sembra emerga dalla lettura è la differenza tra età e tempo, sottolineato da Marc Augé (Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste, Milano 2014).

La vecchiaia anagrafica lascia segni nel corpo, ma c’è una percezione soggettiva del tempo che anticipa anagraficamente la vecchiaia. È l’io che non vuole che il corpo risponda ai suoi desideri, lo mortifica. La depressione invecchia anzitempo. La non elaborazione del lutto di una persona cara invecchia anzitempo.

Quando è morto il mio compagno 12 anni fa, io mi sono sentita vecchia di colpo. I capelli mi si sono imbiancati e io non li ho tinti, mi sono chiusa in casa, mi stancavo facilmente, niente desideri, niente futuro, niente ambizioni. Non è stato un passaggio, un transito, come nel diventare vecchi. A 50 anni non ti percepisci vecchio. Isolamento voluto ma poi temuto, la solitudine, una voragine. Se non ci fossero state le amiche e gli amici sarei ancora in quel tunnel. Per me la vecchiaia è arrivata 12 anni fa.

Ora ho accettato le mie perdite, i miei lutti, tengo conto dei miei limiti senza tragedia e tutto quello che mi arriva è un guadagno. Avere a che fare con la morte è come scrive Hillman “un’arte dello stare in prossimità dell’essere, tenersi più stretti possibili a ciò che è”. Fare vuoto senza paura e stare vicini al nostro essere.

Come attrezzarsi per la vecchiaia?

Clara Mantica affascina con la meditazione, Simonetta Jucker suggerisce il  cohousing,il  testamento biologico. Ma tutto questo, come sostiene Sonia, va pensato da donna, rielaborato a partire dalle nostre esigenze. Come ? la domanda è aperta.

Concetta Brigadeci

Incontrare la vecchiaia. Incontri e confronti tra donne proposti e accompagnati da Marina Piazza

a cura di M. Piazza e Clara Mantica, ed. Libera Università delle donne, Milano 2016

161 p.; 8,50€

Immagine:

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