La Petizione al Parlamento presentata dal Comitato pro suffragio femminile del 1906

Il 1906 può essere considerato un anno di svolta importante per i dibattiti relativi al suffragio per quanto riguarda le donne perché in questo anno si attiva l’interesse e la considerazione di un tema che per lungo tempo è stato analizzato ma che non ha mai avuto profonda eco nell’opinione pubblica e in seno al Parlamento (1). In quell’anno, infatti, Anna Maria Mozzoni decide di inviare al Parlamento una petizione per favorire le discussione tra i deputati relative alla concessione del diritto di voto politico alle donne, petizione che verrà presa in considerazione solo a partire dal febbraio del 1907.

L’inammissibilità della donna alle urne risale alla compilazione del Codice Pisanelli del 1865, redatto per parificare tutte le leggi del Regno d’Italia dopo l’unificazione. Fino a quel momento infatti, nelle regioni di Veneto, Toscana e Lombardia vigeva il Codice austriaco che ammetteva la donna alle urne per le elezioni amministrative. Durante la redazione del nuovo Codice, con la premura di specificare l’impossibilità per la donna di recarsi alle urne per le elezioni amministrative, non si è però specificato nulla relativamente al voto politico. Nello Statuto del Regno infatti, non c’è una disposizione, un emendamento o una regola che sancisce l’esclusione della donna dalla schiera degli elettori per quanto riguarda le elezioni politiche. L’esclusione quindi allo stato dei fatti è una mera consuetudine.

Ed è così che si genera un paradosso, un gap legislativo che porta Anna Maria Mozzoni all’azione.
La Mozzoni teme che la petizione sia vana perchè le discussioni parlamentari escono a fatica dal Parlamento e non sono quindi di dominio pubblico. Nella realtà però, la sua petizione genera una discussione accesa che dimostra l’esatto contrario. Dai dibattiti parlamentari scaturisce una vera e propria volontà da parte di alcuni deputati di non limitare più la donna per quanto riguarda l’esercizio di cittadinanza attiva del quale godono gli uomini.

Il giorno 25 febbraio 1907, l’Onorevole Giuseppe Cuzzi viene incaricato dal Presidente della Camera di fare un sunto un sunto della petizione parlamentare n. 6676 presentata nel 1906 e con accuratezza elenca le argomentazioni della Mozzoni circa le leggi elettorali contenute nello Statuto del Regno e nel Codice Civile. Il Deputato di estrema sinistra Mirabelli è il primo a cogliere il paradosso del Codice Civile e afferma

Dobbiamo domandarci con spirito superiore a di ogni misoneismo politico e sociale: qual’è la  legge che determina, come vuole lo Statuto, l’eccezione della donna per l’elettorato politico? Non c’è. E se non c’è una legge che determina tale eccezione, come c’è per l’elettorato amministrativo va d’incanto che alla donna non dovrebbe essere interdetto, col dispotismo di una interpretazione arbitraria, il godimento dell’elettorato politico (2).

Dall’ala conservatrice si leva Luigi Luzzati che, completamente favorevole all’allargamento del suffragio, si premura per prima cosa di deplorare la velocità con la quale si è data una normativa unitaria al Regno dopo la sua unificazione, perché la fretta non ha portato migliorie, semmai lacune nel sistema legislativo dell’Italia.

L‘ordine amministrativo affrettato diede molte volte la vittoria a ordinamenti che meno  valevano. Dopo l’unificazione [le donne] si vedovarono dell’esercizio di questo diritto [di voto amministrativo]. L’avevano esercitato bene o male? Se gli effetti nel campo amministrativo sono buoni, perché non confidare che tali sarebbero anche nel politico? Questa è la mia fede!

Dopo le argomentazioni di Luzzati prende la parola l’Onorevole Marghieri che si dichiara favorevole al voto amministrativo alla donna ma con l’aggiunta del limite di età di 25 anni. Dopo Marghieri prende la parola il deputato Lacava che si dichiara favorevole, come lo è sempre stato in passato. Lacava afferma inoltre che «il voto amministrativo concesso alla donna, significa educazione della donna alla vita pubblica» (3) poichè il voto permette alla donna di formare un’identità propria e una conseguente coscienza politica Altri deputati prendono la parola come Pavia e Lucifero Alfonso che senza troppi giri
di parole si dichiarano favorevoli al voto alla donna.

La petizione di Anna Maria Mozzoni ha così tutta l’attenzione del Parlamento, senza contare l’appoggio di Giolitti, presidente del Consiglio dei Ministri, che promuove uno studio approfondito sulla situazione femminile e manda il documento al Ministero dell’Interno. Si costituisce una Commissione ministeriale nell’ottobre del 1907 per analizzare la petizione e per capire se sia utile concedere il voto alle donne e a quali categorie.

Si compie uno studio approfondito sulla realtà del Paese e sulle situazioni sociali della popolazione femminile basandosi sulla scolarizzazione della donna e sulla diffusione di cultura nei vari strati sociali e sul livello di occupazione femminile in ogni campo, per riuscire a dare un coerente profilo statistico. Il problema di fondo che la Commissione si trova davanti è lo stesso problema che riguarda la popolazione maschile del Regno: è impossibile generare un sunto programmatico della condizione di alfabetizzazione delle donne in un territorio non ancora omogeneo dove permangono diseguaglianze tra Nord e Sud ma anche all’interno delle stesse Regioni, tra città e città (4).

La Commissione quindi chiude i lavori con la decisione di non concedere il voto alle donne, nè in campo amministrativo nè in quello politico. La decisione si basa sulla ferma convinzione che in una situazione italiana dove permangono legami clientelari e arretratezza culturale, mancano le basi per dare una stima corretta della condizione della popolazione femminile. L’estensione del suffragio alle donne non arrecherebbe alcun effetto positivo. Secondo il parere della Commissione, in una situazione di questo tipo il voto della donna risulta una mera riproduzione del voto maschile. Questi voti nella classe operaia porterebbero al raddoppiamento dei voti di estrema sinistra, profilandosi così un eccessivo numero di socialisti che potrebbero far avanzare una deriva anarchica, mentre nella classe borghese porterebbe ad un aumento esponenziale del conservatorismo insito nei voti dettati dal clero.

Se è vero che il discorso relativo al suffragio femminile è stato bocciato e ogni allargamento della base elettorale è stato quindi accantonato, è comunque vero che la petizione di Anna Maria Mozzoni ha gettato le basi per una più completa considerazione del ruolo femminile all’interno del Paese. Dopo questa esperienza, scoraggiata e stanca, la Mozzoni decide di ritirarsi dalla vita pubblica e politica senza però perdere attenzione verso gli avvenimenti all’interno del Paese, e grazie alla sua tenacia e a questo opuscolo, il Parlamento per la prima volta ha seriamente considerato la figura femminile.

Sara Ceccarelli

Sara Ceccarelli nasce a Rimini nel 1982. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione scritta, consegue la laurea magistrale in Giornalismo e Cultura editoriale presso l’Università degli Studi di Parma. Attualmente collabora con testate locali e si dedica ad attività di ricerca storica e politica.

 

Note

(1) Nel 1906 esce un articolo di Maria Montessori sul giornale La Vita dove esorta le donne ad iscriversi nelle liste elettorali politiche. Questo articolo viene diffuso clandestinamente e affisso a Roma da studentesse universitarie. Numerose donne nelle città italiane si presentano agli uffici delle circoscrizioni elettorali chiedendo di essere ammesse alle liste elettorali.
Tra le città che vedono questo afflusso troviamo Ancona e Padova che reagiscono positivamente alle richieste delle donne, salvo poi dover ritrattare le proprie posizioni per ordine della Corte di Cassazione di Roma nel dicembre del 1906. Grazie a questo scritto della Montessori, si costituirono i Comitati pro-suffragio in tutta Italia, uno dei quali è proprio quello di Anna Maria Mozzoni.

(2) Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, 25 febbraio 1907, pp. 12302-303.

(3) Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, 25 febbraio 1907, p. 12315.

(4) Cfr. Bigaran M., Progetti e dibattiti parlamentari sul suffragio femminile: da Peruzzi a Giolitti, in «Rivista di storia contemporanea», 1985, p. 80.