I diritti dell’infanzia sono un’invenzione recente, anzi recentissima. La Dichiarazione dei diritti del fanciullo non ha ancora compiuto, ad oggi, cento anni.  Non avevano né il diritto allo studio, nè il diritto al gioco, i bambini e le bambine nelle città e nelle campagne italiane del secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle.  Se violavano la legge, venivano processati e incarcerati come gli adulti. E i motivi per incappare in un reato, nella condizione di povertà e deprivazione in cui vivevano le famiglie proletarie e sottoproletarie, non mancavano. La fame è una cattiva consigliera.

Di questa umanità bambina, della sua dignità e del suo futuro, si occuparono alcune pioniere dell’assistenza sociale laica. Ne abbiamo scritto in più occasioni su questo sito, perché gli archivi storici dell’Unione femminile nazionale sono tra i più importanti in Italia per lo studio di questa fase e delle sue protagoniste. Lucy Re Bartlett, Alessandrina Ravizza e Bice Cammeo sono tra queste protagoniste e a loro e dedicato l’ultimo libro di Rossella Raimondo, ricercatrice in Scienze pedagogiche: Audaci filantrope e piccoli randagi. Il contributo di Lucy Re Bartlett, Alessandrina Ravizza e Bice Cammeo a favore dell’infanzia traviata e derelitta (Junior, 2016).

L’autrice analizza il rapporto tra educazione, infanzia e devianza secondo una declinazione pedagogica, alla luce del dibattito e degli interventi di carattere socio-educativo promossi dal femminismo tra Otto e Novecento in Italia:

Si rendevano  indispensabili una lucida e pertinente attività di indagine sulle cause del malessere sociale e la conseguente sperimentazione di nuove forme di assistenza, recupero e prevenzione. Lucy Re Bartlett, Alessandrina Ravizza e Bice Cammeo proiettarono tutto questo nella cornice teorica e operativa del “femminismo pratico”, all’epoca sempre più influente sui cambiamenti che si stavano verificando nella legislazione e nel costume […] Le innovazioni così introdotte, e ben documentate dalle stesse protagoniste, assumevano la duplice valenza di momenti educativi a beneficio dei minori, ma anche di stimolo agli amministratori statali e ai governanti per riconsiderare le molteplici sfaccettature di un problema che investiva non solo la tematica pedagogica, ma che si estendeva anche alla sfera giuridica e legislativa, al punto da rendere necessaria un’azione forte e di impatto il più possibile immediato (p. 88).

Prevenire è meglio che punire. Su questa base si sviluppa il programma delle tre emanicipazioniste.

Lucy Re Bartlett, a Roma, opera sistematicamente per la riforma del sistema penitenziario e per l’istituzione dei patronati dei minorenni, lavorando per l’introduzione anche in Italia dell’istituto della “messa alla prova” di derivazione statunitense. In questa prospettiva il reato non si sconta con una pena detentiva, ma con occupazioni atte a favorire il reinserimento sociale del soggetto deviante sotto la supervisione di adulti addetti al controllo. Come ricorda l’autrice, bisogna aspettare il 1956 per avere una legge adeguata sul trattamento della devianza minorile. Solo allora la legislazione sostituisce il concetto di “correzione” della infanzia “traviata” con quello di intervento pedagogico, a fronte del riconoscimento dei nessi tra devianza e ambiente sociale. Ma il terreno è stato preparato nel mezzo secolo precedente.

Ad imprimere la svolta decisiva nella vita di Bice Cammeo è l’incontro con Ersilia Bronzini Majno e l’Unione femminile, di cui diventa una delle più fidate e strette collaboratrici. Non solo scrive sul giornale dell’Unione, ma ne diventa capo-redattrice. L’impatto di Bice Cammeo con l’infanzia “traviata” – per usare il linguaggio dell’epoca -, con le sue miserie ma anche con la sua energia, la sua vitalità e la sua possibilità di riscatto, avviene con La Fraterna, istituzione fondata dall’Unione per raggruppare e formare le piscinine, le piccole lavoratrici delle sartorie. A Firenze, dove Bice si stabilisce dopo gli anni di formazione a Milano, fonda una sezione dell’Unione femminile e un Ufficio indicazioni e assistenza, sul modello di quello milanese. Il Rifugio temporaneo per facciulli abbandonati e vagabondi è la sua opera più significativa in favore dell’infanzia disagiata. Organizzata come una comunità-famiglia, ospita bambini in situazioni di violenza domestica intercettati attraverso l’Ufficio indicazioni e assistenza, e li accompagna con interventi, diremmo oggi, psico-pedagogici.

Alessandrina Ravizza, milanese, è forse la più nota fra le tre imprenditrici sociali studiate da Raimondo, anche per i lavori monografici a lei dedicati (ricordiamo La santa e la spudorata, di Emma Scaramuzza, e La signora dei disperati, a cura di Giuliana Nuvoli e Claudio Colombo). Se la “Contessa del brodo” mette in discussione il modello tradizionale di aiuto sperimentandone di nuovi è perché, spiega l’autrice, rifiuta il concetto di carità per sostituirlo con quello di assistenza e di empatia. Che non è solo il distribuire pasti caldi, ma anche dare lavoro e alloggio in ambienti confortevoli, ridare dignità alle persone spinte ai margini dalla miseria attraverso il riconoscimento della loro umanità. Anche, e prima di tutto, nel momento della loro formazione.

Audaci filantrope e piccoli randagi. Il contributo di Lucy Re Bartlett, Alessandrina Ravizza e Bice Cammeo a favore dell’infanzia traviata e derelitta

di Rossella Raimondo, ed. Junior, 2016
142 p., € 15